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Rinnovare, riqualificare, ricollocare: impatto Covid su digitale e nuove skills

In risposta alla pandemia, il 43% delle aziende italiane sta accelerando l’implementazione di processi di digitalizzazione, mentre solo il 9% li ha temporaneamente sospesi. Al contempo, le prospettive per la forza lavoro in Italia permangono positive, con un numero maggiore di posti di lavoro creati rispetto a quelli eliminati. E l’85% delle aziende che hanno avviato un processo di automazione dichiara di voler aumentare o mantenere il numero dei propri dipendenti. Si tratta di alcune evidenze della ricerca di ManpowerGroup dal titolo Skills Revolution Reboot sull’impatto del Covid-19 sulla digitalizzazione e sulle nuove competenze.

Automatizzare subito o posticipare?

I settori che prima della pandemia avevano rallentato processi di automazione, ora stanno recuperando. Finanza, assicurazioni, immobiliare e servizi alle imprese stanno raddoppiando l’impegno per implementare processi di digitalizzazione come conseguenza della crisi, in particolare per quanto riguarda le mansioni amministrative e a contatto con il pubblico. I settori maggiormente colpiti dalla crisi all’inizio, tra cui quello manufatturiero, l’edilizia e il retail, si dividono tra quelli volti all’automazione e alla digitalizzazione per adattarsi rapidamente e quelli che adottano un approccio da cauti osservatori e sospendono i propri progetti. In Italia il 40% dei datori di lavoro ha in programma di incrementare l’automazione, un dato che a livello globale si attesta invece al 21%.

La ripresa economica è a forma di K

Secondo la ricerca si sta assistendo alla progressiva affermazione di una ripresa economica a forma di K, ovvero con una curva in calo e una in crescita, che corrispondono ai profili più o meno richiesti. Alcuni settori e persone si stanno riprendendo più rapidamente e meglio, nei settori in crescita e con skills fortemente richieste, mentre altri sono a rischio o stanno ulteriormente perdendo terreno. Mentre le aziende si trasformano e implementano processi di digitalizzazione, mutano anche le esigenze in termini di skills. Entro il 2025, le mansioni lavorative saranno suddivise al 50% tra uomini e macchine, mentre 97 milioni di nuove occupazioni saranno richieste nei settori AI, green economy e attività connesse all’assistenza.

La Skills Revolution

Questa Skills Revolution, unita alla crisi, accelera la richiesta di skills sia trasversali sia tecniche. Le soft skills, quali la comunicazione, la gestione del tempo e delle priorità, l’adattabilità, il pensiero analitico, l’empatia e la capacità di prendere iniziative, sono più che mai valorizzate e richieste dalle aziende. Le aziende stanno infatti comprendendo che hanno bisogno di persone aperte all’apprendimento, agili rispetto alle nuove mansioni e pronte e resilienti. In Italia circa il 30% delle aziende investe sulle soft skills. Oggi, infatti, il modo di pensare analitico e la capacità comunicativa rappresentano solo alcune delle soft skills utili per creare maggiori opportunità di lavoro e resilienza a lungo termine, mantenendo vivo il desiderio di apprendere e crescere professionalmente.

Moratoria sui crediti per imprese e famiglie

La fase post lockdown ha fatto segnare un deciso recupero delle richieste di credito da parte di famiglie e imprese, tornate sui livelli pre emergenza.

In questo scenario, sicuramente in recupero, ma ancora condizionato dall’incertezza causata dall’emergenza, famiglie e imprese non hanno smesso di richiedere l’accesso alla moratoria varata dal Governo per sospendere il pagamento delle rate sui finanziamenti in essere. E la nuova rilevazione di CRIF (Centrale Rischi Finanziari), relativa alle istruttorie contribuite sul proprio sistema di informazioni creditizie nella prima settimana di agosto, registra una performance positiva, rispettivamente con un +7% per le famiglie e un +15% per le imprese.

Le richieste presentate dalle imprese…

La dinamica registrata da CRIF circa le richieste di moratorie sui finanziamenti rateali fa emergere significative differenze sulla base della dimensione d’impresa. Il 72,6% delle richieste di moratoria ottenute in questi mesi sono riconducibili a società di capitali, il 23,9% a società di persone, e il 2,3% a ditte individuali. Il 47,6% delle sospensione delle rate ottenute dalle imprese si riferisce a mutui di liquidità contro una quota del 25,6% dei contratti di leasing e al 17,4% dei mutui immobiliari. Seguono i prestiti personali (5,2%), e i prestiti finalizzati (4,2%). La rata mensile più elevata è quella relativa ai mutui di liquidità, con 3.645 euro di media, a fronte di un debito residuo pari a 122.754 euro.

…e da parte delle famiglie

Per quanto riguarda le linee di credito per le quali è stata chiesta la sospensione del rimborso delle rate da parte di privati consumatori, i mutui immobiliari rappresentano il 46,6% delle richieste, mentre il 26,6% del totale riguarda prestiti personali, che tipicamente rappresentano le due forme di finanziamento più onerose per le famiglie. A seguire, i mutui di liquidità (12,6%), i prestiti finalizzati (8,6%) i contratti di leasing e altri prodotti rateali (5,6%). I contratti per i quali i consumatori hanno potuto ottenere la sospensione grazie alla moratoria sono in genere più onerosi in termini di rata mensile e debito residuo, consentendo così ai beneficiari di liberarsi in questa delicata fase di un impegno significativo e agevolare la sostenibilità del bilancio familiare.

“Un’efficace misura di sostegno”

“Indubbiamente la moratoria varata dal Governo nei mesi scorsi ha rappresentato un’efficace misura di sostegno alle famiglie e alle imprese che in questi mesi si sono trovate in difficoltà a causa dell’emergenza Covid – commenta Antonio Deledda, Direttore Credit Bureau Services di CRIF -. Posto che le rate oggetto di moratoria sono contribuite nei SIC dagli intermediari finanziari a importo dovuto pari a zero, e che i beneficiari non possono essere segnalati a sofferenza dal momento in cui il provvedimento è stato concesso, la segnalazione della sospensione delle rate darà la possibilità ai soggetti finanziati di referenziarsi adeguatamente nel prossimo futuro, dimostrando che la loro affidabilità è elevata e che la sospensione delle rate è stata richiesta per far fronte a una temporanea difficoltà dovuta agli effetti della pandemia e non per altre ragioni”.

Pet economy, sempre più simile al mondo baby-care

La Pet Economy diventa sempre più simile al mercato baby care. I prodotti somigliano sempre di più a quelli per i bambini e il veterinario è quasi un pediatra. Proprio come per il mercato del baby care il destinatario del prodotto non parla, e chi compra non è colui che utilizza i prodotti e fruisce dei servizi. Ma se il mercato è in evoluzione il vero cambiamento è sociale. Il pet entra a pieno diritto nelle case italiane come componente della famiglia, condizionandone i comportamenti e guidandone i consumi. E le aziende seguono con interesse questa tendenza perché il mercato del pet è in crescita, e “muove” fatturato.

La spesa per gli animali è quasi 3 volte superiore a quella per i bambini

Secondo il Rapporto Assalco – Zoomark 2019 la spesa delle famiglie per gli animali è quasi 3 volte superiore a quella per i bambini. Le linee di prodotti pet diventano sempre più premium, personalizzate e di qualità e nasce l’esigenza da parte dei consumatori di avere etichette chiare per leggere gli ingredienti e conoscere la produzione di ciò che scelgono. Al contempo emerge una nuova figura di veterinario, che un po’ come il pediatra diventa fondamentale per la crescita del cucciolo. Il veterinario deve offrire servizi e consulenza sulla salute a 360°, dai vaccini all’alimentazione, dal benessere all’igiene dell’amico a quattro zampe.

Un mercato in piena espansione

Il mercato del pet è in piena espansione, riporta Ansa, ma non è ancora maturo. Sia gli e-commerce sia gli store fisici dovranno essere sempre più personalizzati e aperti alle esigenze del cliente. Il negozio non chiuderà finché ci saranno persone capaci di ascoltare, consigliare e offrire un’esperienza di shopping originale e unica. In pratica la pet economy deve strutturarsi per conoscere meglio il consumatore, e creare valore fra aziende e store, condividendo strategie, valori e senso comune.

Quando il cane incontra la blockchain

Sul mercato del pet si affaccia per la prima volta anche la blockchain. Uno strumento che può garantire alla filiera, la tracciabilità e l’autenticità dei dati, aiutare la medicina, e contrastare il fenomeno dell’abbandono. I dati infatti sono inamovibili con possibilità di creare relazioni fra albero genealogico, malattie, vaccini, informazioni cliniche, e pedigree. E il primo pet al mondo a “entrare” in blackchain è Pinta, il cane di Irene Sofia, influencer e business developer di FattorePet, l’agenzia di digital marketing specializzata nel settore Pet.

Pressione fiscale più alta per gli onesti, colpa del “nero”

La pressione fiscale è data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, e nel 2018 si è attestata al 42,1%. Se però dalla ricchezza del Paese (Pil) si sottrae la quota riconducibile al sommerso e alle attività illegali il Pil diminuisce, facendo aumentare il rapporto tra questo e il gettito fiscale. In pratica, la pressione fiscale per i contribuenti onesti sale al 48%, quasi 6 punti in più rispetto al dato ufficiale.

“Sebbene negli ultimi anni il peso complessivo delle tasse risulti leggermente in calo in molti non se ne sono accorti, poiché allo stesso tempo sono cresciute le tariffe della luce, dell’acqua, del gas, i pedaggi autostradali, i servizi postali, i trasporti”, sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo. E anche se dal punto di vista contabile queste voci non rientrano nella pressione fiscale hanno effetti negativi sui bilanci di famiglie e imprese.

L’incidenza del “nero” sul Pil non ha subito variazioni dal 2016

Secondo l’Istat, nel 2016 l’economia non osservata ammontava a 209,8 miliardi di euro, pari al 12,4% del Pil. Di questi, 191,8 miliardi erano attribuibili al sommerso economico e altri 17,9 alle attività illegali. L’Ufficio studi della Cgia ipotizza che l’incidenza del “nero” e delle attività illegali sul Pil nel biennio 2017-2018 non abbia subito variazioni rispetto al 2016. Dopo il picco massimo toccato nel biennio 2012-2013 negli anni successivi la pressione fiscale ha segnato una diminuzione, che nel biennio 2017-2018 si è attestata al 42,1%. Secondo la Cgia non è però da escludere che nel 2019 la pressione fiscale torni a salire. Non tanto perché il prelievo complessivo sia destinato ad aumentare, ma perché la crescita del Pil sarà molto contenuta, e nettamente inferiore alla variazione registrata l’anno scorso.

Recuperare almeno 33 miliardi per non far salire i prezzi

“Se da un lato abbiamo recuperato 7,6 miliardi di euro che ci hanno evitato la procedura di infrazione da parte dell’Ue – rileva il segretario Cgia Renato Mason – dall’altro lato dobbiamo trovare entro dicembre 23 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e altri 10-15 miliardi per estendere a tutta la platea dei contribuenti la flat tax”. Insomma, per evitare un forte aumento dei prezzi di beni e servizi e beneficiare di una riduzione del carico fiscale dovremmo recuperare in pochi mesi almeno 33 miliardi, riferisce Adnkronos.

Il rapporto tra fisco e aziende sta cambiando, ma non porta sostanziali benefici

Dopo l’introduzione della fatturazione elettronica, dal 1° luglio è scattato l’obbligo di memorizzazione e di invio telematico dei corrispettivi per le partite Iva con volume d’affari superiore ai 400.000 euro. Da qualche settimana poi piccoli imprenditori, artigiani e commercianti sono alle prese con la dichiarazione dei redditi, che da quest’anno prevede la sostituzione degli studi di settore con gli Isa. Un nuovo strumento che sta mettendo in difficoltà anche gli stessi addetti ai lavori, e che rischia di tradursi in un aumento dei costi legati alla burocrazia fiscale. E che evidenzia come il rapporto tra fisco e aziende stia cambiando rapidamente, senza però portare sostanziali benefici in termine di riduzione delle tasse.

Consumatori più consapevoli alle aziende chiedono sostenibilità

I consumatori italiani sono sempre più consapevoli dei propri diritti, e individuano nella sostenibilità ambientale e sociale, e nello sviluppo tecnologico, i temi principali su cui concentrare il dibattito con aziende e istituzioni. Inoltre, secondo le Associazioni dei consumatori, le aziende sono più pronte a relazionarsi positivamente, anche se non tutte fanno abbastanza.

A tracciare il quadro della situazione è la ricerca Consumatori, associazioni e aziende: l’evoluzione dello scenario italiano, realizzata da Ipsos e realizzata tramite 130 interviste qualitative e quantitative ai responsabili delle Associazioni dei consumatori a livello nazionale e regionale.

Anche le aziende dovrebbero sostenere l’azione delle Associazioni dei consumatori

Dalla ricerca emergono le considerazioni positive da parte degli intervistati sul quadro normativo europeo, ritenuto più tutelante, ma negative sulla minore centralità di consumatori e Associazioni nell’agenda politica nazionale, nonché su un sistema associazionistico non del tutto adeguato ai tempi. Ovviamente anche le aziende sono chiamate a sostenere l’azione delle Associazioni per garantire maggior tutela e consapevolezza ai consumatori. Gli indicatori di qualità delle azioni considerate più rilevanti riguardano la qualità dell’offerta, la sottoscrizione di accordi, arbitrati e protocolli per favorire la risoluzione delle controversie, l’efficienza del customer-care, una reale attenzione alla sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale.

I settori energetico e telefonico i più “evoluti”

A livello di dinamiche settoriali, dal punto di vista del rapporto con i consumatori vengono considerati più evoluti i settori energetico e telefonico. Il focus sul settore energetico evidenzia che il trend di maggiore interesse per i rappresentanti delle associazioni nazionali è quello relativo al passaggio al mercato libero, a cui seguono temi legati alla sostenibilità come la mobilità sostenibile, la transazione energetica, e l’economia circolare.

Gli intervistati giudicano abbastanza buono l’impegno delle aziende energetiche su questi temi, anche se potrebbero fare di più. Per quanto riguarda in particolare il passaggio al mercato libero i rappresentanti delle Associazioni regionali lo considerano un evento negativo, e sono tutti d’accordo nel giudicare mal gestito il passaggio a tale regime.

Criticità irrisolte e nuove emergenze. Ma il rapporto fra aziende e consumatori migliora

I rappresentanti nazionali e regionali delle Associazioni dei consumatori, riporta Adnkronos, considerano inoltre come la poca chiarezza e trasparenza della bolletta sia una criticità irrisolta del passato, e vedono come nuova emergenza il proliferare di tanti piccoli operatori.

Sia nel comparto oil sia nel gas e nell’energia elettrica, poi, le relazioni tra aziende e consumatori sono giudicate migliori rispetto al passato, ma non ancora ritenute diffusamente soddisfacenti. Soprattutto a livello di rappresentanti delle associazioni locali.

 

Riscatto laurea versione 2019, ecco cosa è e a chi conviene la formula light

L’ultima riforma delle pensioni ha anche introdotto la possibilità di effettuare il riscatto agevolato e flessibile degli anni di studio universitari. Questa novità consentirebbe di agevolare coloro che hanno conseguito il diploma di laurea o titolo equiparato, a riscattare a fini pensionistici, al massimo 5 anni di studi universitari con uno sconto del 30% sugli oneri o la possibilità di riscatto flessibile, per chi decide di riscattare solo una parte ricorda Guidafisco.it.

Gli sconti del riscatto light

La riforma e il relativo decreto pensioni 2019 prevede la possibilità di riscattare la laurea in modalità light, ovvero con uno sconto del 30% sull’importo tolse, a condizione che non si abbiano ancora computo i 45 anni.  Questa opportunità si traduce quindi della possibilità, per gli under 45,  di riscattare gli anni universitari versando una forfait di circa 5mila euro l’anno, per una massimo di 5 anni ai fini dei contributi per la pensione. La nuova misura è stata inserita all’interno del capitolo sulla pace contributiva del decreto pensioni-reddito di cittadinanza. Riassumendo, questo ricatto light è riservato a precise tipologie di persone con determinati requisiti: non avere più di 45 anni (nate dopo il 1974 e che nel 1995 frequentavano ancora l’università in quanto l’opzione è valida solo per i periodi coperti dal regime contributivo, ossia dal 1996 in poi) e non essere titolari di pensione. In base a tale novità, per chi è in possesso dei suddetti requisiti ci sarà uno sconto del 30% sugli oneri e la possibilità di detrazione dalle tasse del 50% della somma, arrivando così ad uno sconto totale di circa 60%. Dall’opzione sono però esclusi gli anni fuori corso.

Una possibilità per aumentare gli anni di contribuzione, non per gli importi della pensione

Chi sceglie il riscatto agevolato previsto dal decreto legge, però, deve sapere che questa possibilità serve esclusivamente per aumentare gli anni di contribuzione che servono per i requisiti di pensionamento e non anche ad aumentare l’importo della pensione, come invece avviene accade in caso pagamento del riscatto laurea Inps ordinario. Questa formula, ricorda adnkronos, può servire ad esempio per raggiungere la pensione anticipata: 42 anni e 10 mesi di versamenti se uomo e 41 anni e 10 mesi, se donna.

I costi effettivi

Tra i 15mila e i 25mila euro: ecco quanto costa riscattare gli anni universitari con la modalità light. Lo studio fatto dalla Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro rileva infatti che il costo annuo da pagare per ogni anno di studio universitario con il riscatto agevolato è di circa 5.241,30 euro annui: quindi, in totale, va dai 15mila euro per riscattare gli anni di studio per una laurea breve ai 25mila di un corso di laurea completo ma sarà consentita la detraibilità dei costi.

Ue: fissato il tetto per le telefonate all’estero

Fissato il tetto massimo di 19 centesimi al minuto per le chiamate all’estero, di 6 centesimi per gli sms. A partire dal 15 maggio 2019 saranno queste le tariffe massime per le chiamate telefoniche all’interno dell’Ue. Il Parlamento Europeo ha dato il via libera definitivo al pacchetto Tlc, approvato dalla riunione plenaria a Strasburgo, confermando l’accordo provvisorio raggiunto a giugno con i ministri del Consiglio Europeo sul Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche (Eecc) e sull’Organismo dei Regolatori europei delle Comunicazioni Elettroniche (Berec). Secondo la relatrice Dita Charanzová (Repubblica Ceca) “le telefonate più economiche sono una vittoria per tutti i cittadini dell’Ue e il codice offre una maggiore protezione per tutti i consumatori”.

La nuova normativa Ue del pacchetto Tlc

Le nuove norme offriranno ai cittadini la connettività ad alta velocità e renderanno le chiamate sicure e accessibili all’interno dell’Ue, garantendo al contempo la necessaria prevedibilità per gli operatori di telecomunicazioni per stimolare gli investimenti nella rete internet ad alta velocità.

La normativa, inoltre, protegge meglio gli utenti di smartphone, compresi gli utenti di servizi basati sul web, come Skype e WhatsApp, e rafforza i requisiti di sicurezza, inclusa la crittografia. Introduce inoltre il diritto di conservare il proprio numero di telefono fino a un mese dalla rescissione del contratto, e il diritto al rimborso del credito prepagato non utilizzato al momento della risoluzione del contratto, nonché un indennizzo in caso di ritardo o abuso nel passaggio a un altro operatore.

Raggiungere l’obiettivo della Roadmap Ue 5G

Secondo quanto previsto dal regolamento, gli Stati membri dovranno facilitare l’introduzione del 5G mettendo a disposizione uno spettro adeguato entro il 2020, al fine di raggiungere l’obiettivo della Roadmap Ue 5G di avere una rete 5G in almeno una delle principali città di ogni Paese dell’Ue entro il 2020.

In caso di grave emergenza o catastrofe, inoltre, i cittadini colpiti potranno essere avvisati tramite sms o applicazioni mobili. Gli Stati membri avranno 3 anni e mezzo di tempo per mettere in funzione il sistema dopo l’entrata in vigore della direttiva.

Maggiore prevedibilità degli investimenti e condivisione dei rischi

Per raggiungere il livello di investimenti nelle infrastrutture e nelle reti 5G necessario a soddisfare le esigenze di connettività, la nuova legislazione offre una maggiore prevedibilità degli investimenti e promuove la condivisione dei rischi e dei costi tra gli operatori di telecomunicazioni. Per il relatore Evžen Tošenovský (Repubblica Ceca) “le nuove norme che disciplinano il Berec consentiranno di assumere le nuove responsabilità che gli sono state affidate dalle nuove norme in materia di telecomunicazioni”.

Dopo l’approvazione formale del Consiglio, riporta Adnkronos, gli Stati membri avranno due anni di tempo per adottare la legislazione nazionale di attuazione della direttiva.

Nel terzo trimestre 2018 più fiducia nel mercato del lavoro

Cresce la fiducia nel mercato del lavoro, e il lavoro temporaneo è percepito dagli italiani come un’opportunità. Secondo il Confidence Index, l’indice che misura la fiducia nel mercato del lavoro, nel terzo trimestre 2018 la percezione positiva nei confronti del mercato del lavoro aumenta del 7%, passando dai 36 punti del terzo trimestre 2017 ai 43 punti dello stesso periodo di quest’anno.

Il Confidence Index è stato ottenuto attraverso la distribuzione di 660 questionari ai candidati italiani di diverse opportunità professionali, ed è stato elaborato da PageGroup, società globale di recruitment con i brand Page Executive, Michael Page e Page Personnel

Cresce la percezione positiva del futuro

Se in generale aumenta la fiducia, i valori in maggiore crescita nel terzo trimestre del 2018 sono la percezione positiva sul futuro sia della situazione economica sia del mercato del lavoro. La prima arrivata al 49,5%, con una crescita del 10% rispetto allo scorso anno, e la seconda al.46%, con una crescita del 12% rispetto al 2017. La fiducia nei confronti dell’attuale mercato del lavoro e dell’attuale situazione economica registra invece ancora valori assoluti tra i più bassi d’Europa. Tali valori si fermano rispettivamente al 33% e al 35%, seppure con una crescita media del 10% rispetto allo scorso anno.

Il lavoro temporaneo? Una grande opportunità

Dalla ricerca emerge inoltre che il lavoro temporaneo viene percepito come una grande opportunità dai lavoratori intervistati, soprattutto perché può arricchire la propria esperienza e le proprie abilità (69,5%), e differenziare il percorso professionale, poiché può permettere di sviluppare competenze in diversi ruoli e settori (43,8%). Inoltre, il lavoro in somministrazione viene considerato come un trampolino di lancio per ottenere un contratto a tempo indeterminato (31,9%), riporta Adnkronos.

“Un’esperienza ‘temp’- commenta Pamela Bonavita, Executive Director di Page Personnel -facilita gli avanzamenti di carriera e offre diversi vantaggi tra cui una maggiore flessibilità, la possibilità di lavorare in vari settori, una maggiore esposizione a diversi stili di management e diverse tipologie di clienti”.

I numeri di posizioni aperte in ambito “temp” sono in aumento

“La richiesta di figure professionali da inserire in somministrazione – aggiunge Bonavita – è in costante aumento, e ai potenziali candidati viene così offerta la possibilità di ampliare o di approfondire le proprie competenze estendendo anche la rete professionale”.

A confermare questa tendenza positiva sono anche i numeri di posizioni aperte in ambito “temp”. La stessa Page Personnel, ad esempio, è alla ricerca di oltre 800 candidati per i settori finance & accounting (30%), procurement & logistics (20%), assistant & office support (11%), tax & legal (8%), sales support & custumer service (7%), information technology (6%), engineering & manufacturing (4%).

Un tatuaggio può costare il posto di lavoro?

Sempre più di moda, e fra tutte le fasce di età e di estrazione sociale, i tatuaggi esprimono personalità, raccontano qualcosa di una persona. Che siano tribali, fantasy, etnici, semplici disegni schematici blu o neri, oppure più elaborati e multicolori, oggi non sono più considerati il vezzo di un ragazzino desideroso di sentirsi grande.

Ma i tatuaggi, a prescindere dall’aspetto estetico, rischiano di rappresentare un problema per accedere ad alcune professioni. Non sempre i recruiter vedono di buon occhio l’inchiostro indelebile inciso sotto la pelle di un candidato. Uno studio dell’Università di Miami smentisce però l’opinione diffusa secondo la quale l’assunzione in un posto di lavoro preveda discriminazioni per i tatuati.

Qualcosa è cambiato

Lo studio, guidato dal professor Michael French, insieme ad altri ricercatori provenienti dall’Università di Miami e da quella di Economia dellAustralia Occidentale, ha preso in considerazione duemila testimonianze di persone raccolte online. La ricerca smentisce l’opinione comune secondo cui un tattoo pregiudicherebbe l’ingresso nel mondo del lavoro, ed è apparsa a inizio agosto sulla rivista americana Sage Journal. Dove si legge che “sorprendentemente non ha trovato prove empiriche di discriminazione sul lavoro, sul salario o sui guadagni nei confronti di persone con vari tipi di tatuaggi”.

Nessuna differenza, aggiunge Quartz, tra chi ne ha uno soltanto o di più. E il successo di un colloquio di lavoro non dipende neppure dal fatto che siano visibili o nascosti dagli abiti.

Chi è senza tatuaggi rischia una discriminazione al contrario?

Un altro studio, Body Art as a Source of Employment Discrimination, condotto dal professore Chris Henle dell’Università del Colorado e pubblicato a luglio dalla Academy of Management Journals, ha cercato di capire se la discriminazione legata a tattoo e piercing sia correlata alla percezione di chi si occupa dei colloqui di lavoro.

Per farlo, il suo team ha messo alla prova 143 manager che nell’ultimo anno si sono occupati di almeno una assunzione per conto della società per la quale lavorano. A loro sono stati mostrati curricula ritenuti ugualmente attrattivi, profili di candidati paragonabili, ma alcuni con fotografie ritoccate con l’aggiunta di tatuaggi, piercing e altri tipi di body art. Risultato? Ad avere più probabilità di assunzione sono stati i candidati senza inchiostro sotto la pelle né decorazioni di sorta.

Cosa prevede la legge italiana

La legge italiana naturalmente non consente di discriminare sulla base di aspetti come i tatuaggi. Via libera ai tatuati, quindi, per i concorsi pubblici e per le occupazioni nella pubblica amministrazione. L’unico ambito nel quale è stata stabilita una norma in materia è quello relativo all’esercito.

Si tratta della Direttiva sulla regolamentazione dell’applicazione di tatuaggi da parte del personale dell’Esercito, una circolare datata 26 luglio 2012, che intende “prevenire e contenere situazioni che possono incidere sul decoro dell’uniforme e sull’immagine dell’Esercito”.

Aumentano gli energy manager: imprese più attente a energia/ambiente

Gli energy manager sono in aumento. “La crescita del numero degli energy manager nominati indica una maggiore attenzione da parte delle imprese alle tematiche energetiche e alla sostenibilità”, spiega Dario Di Santo, direttore di Fire, la Federazione italiana per l’uso razionale dell’energia.

Nel 2017 sono stati 2.315 gli energy manager nominati (1.564 da soggetti obbligati e 751 da soggetti non obbligati), per una crescita intorno al 6% in 4 anni per i soggetti obbligati e dell’11% in 15 anni considerando anche le nomine di soggetti non obbligati

Si tratta di alcuni dati emersi dal Rapporto annuale di Fire sulla figura professionale dell’energy manager, che quest’anno contiene anche un’indagine sugli incentivi e sulle agevolazioni per le imprese energivore.

Il terziario è il settore con più energy manager

A livello di settori, le imprese che più si avvalgono della consulenza professionale dell’energy managar sono quelle del terziario, i cui numeri continuano a crescere. Buoni però, secondo il rapporto, anche gli altri settori. Fra questi anche la P.A, “non sempre però all’altezza del ruolo esemplare che dovrebbe ricoprire – sottolinea Di Santo -. Le altre buone notizie vengono dall’incremento di energy manager certificati come esperti in gestione dell’energia (Ege), un aspetto importante soprattutto laddove l’energy manager sia nominato come consulente esterno, e dall’incremento delle organizzazioni certificate ISO 50001”.

Le ricadute positive dall’uso più razionale dell’energia

La norma sui sistemi di gestione risulta essere un passo avanti sia per i soggetti che si certificano sia per il Paese. Le imprese infatti ottengono un aumento dell’efficienza energetica più marcato, e avviano una trasformazione delle competenze fondamentale per l’economia green.

Il Paese intero nel suo complesso beneficia delle ricadute multiple dell’uso razionale dell’energia, da minori costi ambientali e sanitari a minore inquinamento, minore dipendenza dall’estero per petrolio e gas.

Nonostante le buone notizie però c’è ancora molto lavoro da fare sulla figura professionale dell’energy manager, e in generale sul contesto lavorativo in cui opera. È quanto si ricava sia dalle rilevazioni sul tasso di inadempienza alla nomina, che resta molto elevato nel settore pubblico, riporta Adnkronos.

Il ruolo dell’energy manager nel Piano Industria 4.0

Alcuni aspetti di rilievo sugli incentivi riguardano il conto termico 2.0 e gli strumenti previsti dal Piano Industria 4.0 che riscuotono favore tra la maggioranza degli operatori. L’indagine rivolta alle imprese energivore ha permesso  di fare emergere alcuni aspetti interessanti per gli energy manager dal punto di vista degli investimenti.

Se da un lato risulta evidente che la riduzione del costo dell’energia per le imprese tenderà ad allungare i tempi di ritorno degli investimenti rispetto al costo non agevolato, dall’altro la maggioranza delle imprese manifatturiere ritiene che molti interventi previsti verranno comunque realizzati. Ampio l’accordo su un’eventuale obbligatorietà della certificazione ISO 50001 per l’accesso all’agevolazione.