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Gli italiani passano quasi 2 ore al giorno sui social

L’Italia è un paese connesso, e con un trend di adozione in crescita per quanto riguarda Internet, le piattaforme social, e le nuove tecnologie. Sono infatti quasi 50 milioni le persone online in Italia su base regolare, e 35 milioni quelle presenti e attive sui canali social, sui cui si contano circa otto (7,8) account per ogni italiano. Ma non è solo la quantità di persone presenti e attive sul web a crescere. Aumenta anche il tempo passato online. Ogni giorno passiamo infatti 6 ore connessi a internet, e 1 ora e 57 minuti sulle piattaforme social. Una quantità di tempo in aumento rispetto al dato rilevato nel 2019, fermo a 1 ora e 51 minuti.

Quasi otto account a testa, fra Youtube, le app di Facebook e le altre piattaforme

Da quanto emerge dal rapporto di We Are Social, che analizza lo scenario social e digital a livello locale e globale, il 98% degli utenti social si connette da dispositivi mobili, riporta Adnkronos. Tra le piattaforme preferite dagli italiani si confermano come l’anno scorso Youtube e le app di Facebook, nell’ordine di preferenza, WhatsApp, Facebook, Instagram e Messenger, saldamente collocate nella top 5 della classifica dei social più usati. Ed è Instagram la piattaforma che registra la crescita più evidente, passata dal 55% del 2019 al 64% di oggi.

Crescono anche Snapchat, Twitter, WeChat, Reddit e TikTok

Buona performance anche di Pinterest, che vede un salto dal 24% al 29% anche in Italia, in parallelo a una crescita globale anche in virtù di una serie di miglioramenti della piattaforma self-service per le sponsorizzazioni, e ad alcune iniziative nell’ambito del Social Self Care. Crescono di un paio di punti percentuali ognuno anche Snapchat, Twitter, WeChat, Reddit. e TikTok, che alla prima rilevazione in Italia è stata adottata già dall’11% degli utenti.

Verso nuovi formati di fruizione e nuove tecnologie

“In linea con i Paesi occidentali, anche gli italiani stanno sviluppando grande attenzione per temi importanti legati alla loro vita online, come il controllo della propria privacy e la scelta di fonti di informazione affidabili”.In ogni caso, ci stiamo orientando verso nuovi formati nello scenario social. “In particolare siamo in una fase di ‘Stories-ficazione’ della comunicazione – commentano Gabriele Cucinella, Stefano Maggi e Ottavio Nava, Ceo di We Are Social – le Stories stanno facendo registrare su tutte le piattaforme un incremento continuo del loro tasso di engagement e penetrazione”, crescendo 15 volte più velocemente dei contenuti su feed, riporta Il Sole 24 Ore.

Ma non è tutto. “Crescono i comportamenti legati a nuovi formati di fruizione e a tecnologie relativamente nuove – precisano i Ceo di We Are Social – come le ricerche vocali, l’interazione con intelligenza artificiale, l’e-gaming e le sue varie declinazioni”.

Shopping, nel 2020 sarà sempre più digitale e personalizzato

Siamo alle soglie di un’ulteriore evoluzione dello shopping, ovviamente, grazie alla tecnologia, agli algoritmi e allo scambio di dati personali. Dalla tendenza alla personalizzazione dei prodotti a quella di decidere di vendere in prima persona i propri dati Euromonitor International nel nuovo report globale Top 10 Global Consumer Trends risponde alla domanda: come sarà lo shopping nel 2020? Dopo le casse smart anche sushi e sashimi saranno cucinati con i nostri ingredienti preferiti, ma sarà possibile anche ritornare in modalità “off”, cioè anonimi. E si potrà arrivare anche a “uno scambio commerciale in cui gli aggregatori di dati e le aziende potrebbero pagare i consumatori per accedere alle parti delle loro banche dati e ai profili personali”, spiega Michelle Evans, senior industry manager – digital consumer di Euromonitor.

Sushi “su misura” preparato dalla stampante 3D

Intanto a Tokyo si attende l’apertura del primo e più futuristico ristorante al mondo, il Sushi Singularity, progetto di Open Meals company specializzata nella produzione di cibo digitalizzato. In nome di un servizio altamente personalizzato, una piattaforma digitale analizzerà i campioni biologici dei clienti per valutare le loro esigenze nutrizionali. Questi dati biometrici saranno usati per informare anche quali sostanze nutritive sono comprese nelle singole porzioni di sushi che verrà servito. Le pietanze saranno stampate con stampante 3D in grado di dosare i singoli ingredienti scelti e sfornare bocconcini esteticamente perfetti.

Alexa sarà una voce più frequente nel prossimo anno

Assistenti virtuali, dispositivi intelligenti, chatbot e applicazioni basate sull’AI stanno penetrando nelle attività aziendali, nella logistica della catena di approvvigionamento e nella vita dei consumatori. Le aziende si stanno muovendo oltre le capacità umane, creando opportunità di crescita sostenibile con la tecnologia. Stiamo iniziando ad accettare che determinati compiti possano essere eseguiti con l’aiuto di robot e che lo shopping sia accompagnato da assistenti virtuali che facilitino le scelte, piuttosto che da fare soli.

Sebbene la completa fiducia e l’accesso universale a questi sistemi richiederanno più tempo, stiamo abbracciando l’idea di usare la tecnologia per il nostro benessere, convenienza, comfort e controllo personale. Insomma, saranno questi i grandi temi del 2020, riporta Ansa.

Occhiali da sole per l’invisibilità digitale e il cappellino per gli speakers

Non a tutti però piace condividere pezzetti di vita con robot e algoritmi. E in nome di una condivisione consapevole e di un maggiore controllo personale nascono progetti e start-up per creare sistemi di protezione dai nuovi sistemi di tracciabilità. Come gli occhiali da sole che garantiscono l’invisibilità digitale, in grado di proteggere il viso dalla tecnologia per il riconoscimento facciale.

Li hanno progettati i ricercatori americani di Reflectacles, e sono dotati di lenti che bloccano gli infrarossi per fermare le misurazioni delle fotocamere. In Danimarca è nato invece una sorta di cappellino tecnologico (Alias) da posizionare sulle casse smart. Il berretto, calzato sugli speakers, blocca l’ascolto, e qualora percepisca l’attivazione degli altoparlanti a nostra insaputa, lancia l’allarme.

Brexit, per quattro imprese italiane su dieci “non avrà conseguenze negative”

La famigerata Brexit, cioè l’uscita del Regno Unito dall’orbita Ue, è ormai sempre più vicina. Però gli imprenditori italiani non sembrano eccessivamente preoccupati: per quattro imprese che operano con l’estero su dieci questo passaggio non avrà conseguenze. In particolare il 21% delle imprese che ha rapporti internazionali non crede che avrà alcuna conseguenza sul business e il 17% ritiene che saranno pochissime. Si aspetta qualche conseguenza negativa il 24%, conseguenze abbastanza negative per l’8%. Lo 0,9% si aspetta invece molte conseguenze negative con un peso importante sul business dell’azienda. I dati sono il frutto di un’indagine di Promos Italia, l’agenzia nazionale del Sistema camerale per l’internazionalizzazione, insieme alla Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su oltre duecento imprese già attive o interessate a espandersi sui mercati esteri realizzata a dicembre 2019.

I rapporti con il Regno Unito sono importanti

Per le imprese sono importanti i rapporti con il Regno Unito e vorrebbero ulteriormente espandere il proprio business in Europa, con il Regno Unito che attrae l’interesse del 15%. Già in rapporti commerciali con il Regno Unito è il 21% degli intervistati. “Secondo le aziende che hanno risposto al nostro questionario, gli ultimi sviluppi sulla Brexit non hanno impattato significativamente sul loro business in UK, anche se qualche conseguenza è attesa – commenta Giovanni Da Pozzo, Presidente di Promos Italia -. Le reali ripercussioni di quanto sta avvenendo nel Regno Unito e in Europa saranno comunque più chiare tra qualche mese, solo a quel punto sapremo quali saranno le effettive ricadute in termini economici e commerciali per le aziende italiane”.

Un interscambio che vale 6 miliardi di euro

È di oltre 6 miliardi in nove mesi l’interscambio lombardo con il Regno Unito. In crescita l’export, +1,8%, in flessione l’import, -11,6%. La Lombardia è la prima regione italiana nei rapporti commerciali con un quarto del totale nazionale (24,3%), su un interscambio italiano di 26,5 miliardi, in aumento del 3,6% grazie soprattutto all’export (+6,3%). Dopo la Lombardia vengono Emilia Romagna con 4,4 miliardi, Veneto e Toscana con oltre 3 miliardi, Piemonte con 2,5 miliardi. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi e di Promos Italia, la struttura del sistema camerale a supporto dell’internazionalizzazione su dati Istat a settembre 2019 e 2018.

Milano al primo posto per scambi Milano è al primo posto per scambi, con 2,5 miliardi circa e un export in crescita del 13,7%. Seguono a livello nazionale Roma e Torino che superano il miliardo, Bologna con 927 milioni, Modena, Vicenza e Livorno con oltre 800 milioni. Tra le prime lombarde dopo Milano ci sono Bergamo con 747 milioni, Brescia con 693 e Varese con 645 milioni. La Lombardia esporta nel Regno Unito soprattutto macchinari (15,9% del totale) e moda (12,1%) e importa prodotti chimici (14,9%). A livello nazionale sono invece i mezzi di trasporto i prodotti più importati (21%) ed esportati (15,9%), seguiti dai macchinari nell’import (10,4%) e dai prodotti tessili e di abbigliamento nell’export (13,8%)

Incidenti sul lavoro in Italia: già 500mila nei primi 10 mesi del 201

Nell’ultimo anno sono aumentati gli incidenti sul lavoro. Il triste dato arriva dall’Inail che, sulla base delle denunce presentate, sottolinea come nei primi 10 mesi del 2019 gli infortuni sul lavoro siano stati 534.314, cioè 240 in più rispetto ai 534.074 dei primi 10 mesi del 2018 (+0,04%). Però, è questa è un dato che va sottolineato, crescono di numero solo i casi avvenuti “in itinere”, ovvero nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, che sono passati da 80.534 a 82.535 (+2,5%), mentre quelli “in occasione di lavoro” registrano un calo dello 0,4% (da 453.540 a 451.779). E, anche se le denunce per incidenti mortali sono diminuite rispetto all’analogo periodo del 2018, con un calo del 5,2%, i pareri no sono positivi. “La flessione non è rassicurante, in quanto legata soprattutto agli ‘incidenti plurimi’, con cui si indicano gli eventi che causano la morte di almeno due lavoratori, che per loro natura ed entità possono influenzare l’andamento del fenomeno – spiega l’Inail, come riporta Italpress -. È proprio quello che è accaduto tra gennaio e ottobre dello scorso anno, quando gli incidenti plurimi sono stati 21 e hanno causato 76 vittime, più del doppio dei 34 lavoratori che hanno perso la vita nei 16 incidenti plurimi avvenuti nei primi 10 mesi di quest’anno”.

Agosto nero
“Il raffronto appare quindi poco significativo, se si considera che la metà dei 76 decessi in incidenti plurimi dei primi 10 mesi del 2018 è avvenuta nel solo mese di agosto, funestato soprattutto dai due incidenti stradali occorsi in Puglia, a Lesina e Foggia, in cui hanno perso la vita 16 braccianti, e dal crollo del ponte Morandi a Genova, con 15 casi mortali denunciati all’Inail. Nel mese di agosto di quest’anno, invece, non sono stati registrati eventi di uguale drammaticità”, aggiunge l’Istituto.

Nel Nord Ovest meno incidenti 
La mappa degli infortuni sul lavoro non è però omogenea a livello nazionale. L’analisi territoriale mostra una diminuzione delle denunce di incidenti mortali nel Nord-Ovest (da 260 a 232), nel Nord-Est (da 235 a 209) e al Sud (da 203 a 190), e un aumento nel Centro (da 174 a 185) e nelle Isole (da 73 a 80). I cali più significativi si sono registrati in Liguria e Veneto (rispettivamente 24 e 18 decessi in meno), mentre gli incrementi si sono visti nel Lazio (+11), nelle Marche e in Sicilia (+10). Sono in calo le denunce di infortunio sul lavoro nel Nord-Ovest (-0,1%), nel Nord-Est (-0,4%) e al Sud (-0,6%), mentre nel Centro e nelle Isole l’aumento è stato pari, rispettivamente, all’1,2% e allo 0,8%.

La stabilità finanziaria delle aziende europee è a rischio

Dopo anni di sostanziale stabilità, in Europa occidentale aumentano i casi d’insolvenza da parte delle aziende. E si prevede che il 2019 chiuderà con un incremento delle insolvenze al 2,7%, un trend di crescita che dovrebbe confermarsi anche nel 2020. Il rallentamento della crescita economica globale, il protrarsi della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, nonché l’incertezza relativa ai futuri rapporti tra Regno Unito e Unione Europea sono considerati i fattori principali alla base di questo aumento. Secondo quanto emerge dall’edizione 2019 del Barometro Atradius sui comportamenti di pagamento a livello internazionale, e in particolare, in Europa Occidentale, le transazioni commerciali tra aziende vedono un più frequente ricorso alla concessione di credito commerciale rispetto allo scorso anno. Questo, per sostenere la crescita della domanda interna e rimanere competitive sui mercati esteri.

Il 60,4% del valore totale delle transazioni commerciali tra aziende è stato effettuato a credito

In media, nel 2019 il 60,4% del valore totale delle transazioni commerciali tra aziende in Europa occidentale è stato effettuato a credito, mentre lo scorso anno il dato si attestava al 41,4%. Questo dato raggiunge il 67,2% in Europa orientale e il 50,9% nelle Americhe. Nel dettaglio, le aziende danesi sono le più propense a concedere credito ai propri clienti (75,5% di vendite a credito) e quelle francesi le meno convinte (44,6%). Nel mezzo il dato relativo alle vendite a credito degli intervistati italiani, pari al 52,9% del totale delle vendite tra aziende, al di sotto della media europea del 60,4%.

Le dilazioni di pagamento medie concesse dalle aziende italiane

Restano sostanzialmente stabili le tempistiche medie concesse dai fornitori ai clienti per saldare le fatture. Non sorprende il fatto che la continua incertezza sulle relazioni future tra il Regno Unito e l’Unione Europea abbia sensibilmente acuito la percezione del rischio di credito da parte delle aziende britanniche, con dilazioni di pagamento medie concesse pari a 20 giorni, rispetto ai 24 giorni dello scorso anno, e dell’Irlanda (28 giorni, rispetto ai 31 giorni di un anno fa). Restano, invece, superiori alla media per l’Europa occidentale (pari a 34 giorni) le dilazioni di pagamento medie concesse dalle aziende italiane, che si attestano a 51 giorni dalla data di emissione della fattura.

In Italia 31,3% di crediti insoluti

Per quanto riguarda i crediti insoluti, circa il 30% del valore totale delle fatture B2B emesse dagli intervistati nell’ultimo anno è rimasto non pagato alla scadenza. In Italia il dato si attesta al 31,3%. La valutazione della solvibilità degli acquirenti, unitamente all’invio di solleciti di pagamento, sono le attività di gestione del credito commerciale più frequentemente utilizzate in Europa occidentale. L’Italia si posiziona al 42%, contro una media del 35% per l’Europa occidentale. Il previsto aumento delle insolvenze per il 2019 in Italia sale al 4%. Questo indica la necessità per le aziende del nostro Paese “di valutare con attenzione il merito di credito delle proprie controparti commerciali – commenta Massimo Mancini, Country Manager di Atradius per l’Italia – e di attivare strumenti assicurativi di gestione dei crediti in grado di tutelare il flusso di cassa generato dalle proprie attività”.

Cresce l’interesse per il temporary work fra i lavoratori italiani

Fra i lavoratori italiani aumenta l’interesse per il lavoro temporaneo. Nel lavoro temporaneo il rapporto di lavoro è definito a tempo determinato, ovvero prevede che il rapporto abbia un termine e una durata prestabilita. In Italia questo tipo di somministrazione del lavoro viene denominata lavoro interinale, ed è stata introdotta nel 1997 dal cosiddetto Pacchetto Treu (legge 196/1997).

Se alla sua introduzione il lavoro temporaneo è stato l’emblema della flessibilizzazione, portando benefici soprattutto alle imprese, in un mercato del lavoro in continuo mutamento anche i lavoratori oggi sembrano apprezzare le opportunità che comporta. Tanto che il 68% dei lavoratori italiani considera il lavoro ad interim un’opportunità.

L’indice di fiducia nei confronti del mercato del lavoro

Il dato emerge dal Job Confidence Index di PageGroup, la società mondiale nel recruitment con i brand Page Executive, Michael Page e Page Personnel. Lo studio analizza l’indice di fiducia dei lavoratori nei confronti del mercato del lavoro, ed è stato condotto in Italia tramite la somministrazione di 660 questionari ai candidati in cerca di opportunità professionali. E i risultati dello studio mostrano come la soddisfazione per il temporay work sia in crescita, sia fra i manager sia fra coloro che non ricoprono un incarico manageriale.

Per il 47% degli under 30 è un mezzo per incrementare le possibilità di trovare lavoro

L’indagine evidenzia come per il 75% dei lavoratori che non ricoprono un incarico manageriale il temporary work sia una via per arricchire la propria esperienza lavorativa e affinare le proprie abilità. Per il 55% dei manager invece si tratta di un trampolino di lancio per trovare un lavoro più interessante, riferisce Adnkronos. Per la metà degli intervistati, inoltre, un’esperienza lavorativa di questo tipo mette alla prova la flessibilità lavorativa. Tanto che il 47% dei lavoratori under 30 lo considera un mezzo per incrementare le possibilità di trovare lavoro.

“Il profilo personale si arricchisce di competenze trasversali”

Ma quali sono i motivi che rendono il lavoro temporaneo tanto appetibile fra gli intervistati? “La ricerca mostra che il lavoro ad interim viene visto come una grande opportunità dai lavoratori intervistati. La motivazione è molto semplice: entrando in contatto con realtà differenti, un lavoratore deve mettere alla prova il proprio talento perché deve confrontarsi con ambienti completamente diversi – afferma Pamela Bonavita, Senior Executive Director di PageGroup -. Il profilo personale si arricchisce di competenze trasversali rendendo il candidato sempre più competitivo sul mercato del lavoro”.

Immobiliare, alberghi: mercato in crescita, investire conviene

Gli alberghi sono un’asset class sulla quale investire conviene. Anche per l’anno in corso, e gli operatori del settore immobiliare confermano un sentiment positivo soprattutto per l’andamento del comparto alberghiero.  È quanto risulta dall’indagine Sentiment del mercato immobiliare condotta da Claudio Cacciamani, docente dell’Università di Parma. L’indagine, elaborata su base quadrimestrale dal Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Parma in collaborazione con Sorgente Group e Federimmobiliare, si basa su interviste rivolte a circa duecento operatori del mercato, appartenenti ai settori del trading, development, property management, facility management, progettazione, valutazione, consulenza e finanza immobiliare.

L’hospitality è la destinazione d’investimento più interessante

Dallo studio emerge quindi che risultano rinsaldate le attese di quanti per l’anno scorso avevano previsto un assestamento del mercato. Il 39% del campione, riporta Askanews, è convinto che i prezzi rimarranno stabili, con un lieve aumento soprattutto per il comparto alberghiero. Il 57% degli operatori pensa infatti che il mercato degli alberghi sia in crescita, anche perché gli hotel potrebbero beneficiare di una riduzione nei tempi di acquisto, segnale che il comparto rimarrà vivace. Lo dimostra la risposta degli operatori alla domanda sulla destinazione d’investimento più interessante, che vede privilegiato l’ambito dell’hospitality, anche in relazione ai possibili eventi sportivi invernali dei prossimi anni, e alla crescente attrazione turistica del nostro Paese.

Roma calamita un maggiore interesse per gli hotel più centrali

Sempre per quanto riguarda gli investimenti, rimane forte il presidio delle regioni del Nord Ovest soprattutto per il residenziale e per gli uffici. Tuttavia, la novità è nel potere attrattivo del Centro Italia, in particolare di Roma, che risulta calamitare un interesse maggiore che in passato soprattutto per gli hotel più centrali (47%), hotel in generale (35%), negozi (33%) case (22%), e uffici (11%). Per gli hotel risulta interessante e competitivo anche il Sud Italia (23%).

Un altro segnale positivo nelle aspettative degli operatori immobiliari proviene dalla strategia di business che intendono adottare nella propria attività professionale: cresce la percentuale di quanti prevedono di effettuare nuovi investimenti (46% circa), aumenta la volontà di sviluppare nuove linee di business (34,7%), e nessuno vuole ridurre il personale.

Aspettative positive per il futuro del settore immobiliare

Rimane quindi positiva l’aspettativa per il futuro del settore immobiliare secondo il 24% circa degli intervistati, a fronte del 70% che ne prevede la stabilità. Si è sostanzialmente ridotta invece la quota di coloro che ritengono che avverrà un peggioramento (5%o contro 14% di otto mesi fa), e annullata la percentuale dei pessimisti. Per quanto riguarda l’indice Fiups, che sintetizza il Sentiment, il 2018 si è rivelato un anno di tendenziale crescita, poiché si è passati da 19.51 (primo quadrimestre) a 18.59 (secondo) e a 19.11 (terzo).

In 5 anni più alberi, ma meno aree agricole

Italia sempre più verde. Aumenta il numero di alberi sul suolo del nostro Paese, +4,7% dal 2012 al 2017, per un’estensione arrivata a circa 14 milioni di ettari. Un fenomeno che si concentra nelle zone marginali e trascura le città, dove a salire sono i valori di copertura artificiale. Nello stesso periodo, però, l’Italia ha ridotto del 4% le aree con vegetazione erbacea agricola o adibite a pascolo, trasformandole in centri urbanizzati o aree boschive.

Secondo il primo rapporto Territorio. Processi e trasformazioni in Italia di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, le Regioni con la maggiore percentuale di alberi sono Liguria (80,7%), Calabria (67%) e Toscana (60,8).

Scompare l’eterogeneità del paesaggio

La perdita dell’area agricola, che un tempo divideva nettamente le città dai boschi, si accompagna spesso alla scomparsa dell’eterogeneità del paesaggio, all’ingresso delle specie aliene, la riduzione della biodiversità, e della sicurezza alimentare. “Accanto ad aree ormai sovrasfruttate – sottolinea Ispra – se ne trovano altre totalmente trascurate, soggette a fenomeni di spopolamento e di abbandono delle colture e del territorio”,

La riduzione dei terreni coltivati dovuta all’espansione urbana avviene prevalentemente nelle zone pianeggianti, mentre la ricolonizzazione forestale si verifica soprattutto nelle aree interne, nelle zone collinari e lungo l’arco alpino e appenninico alle quote più elevate.

Aumentano le pratiche di intensificazione agricola

Parallelamente all’abbandono delle zone marginali, anche le pratiche di intensificazione agricola (meccanizzazione e utilizzo di tecniche di coltivazione, di irrigazione, di fertilizzazione e di difesa fitosanitaria) concentrate nelle aree di pianura determinano profondi mutamenti nel loro assetto. Questo, riporta Adnkronos, contribuisce al degrado della qualità del suolo stesso, rendendo il territorio ancora più vulnerabile ai cambiamenti climatici.

La dinamica delle trasformazioni degli ultimi decenni resta comunque dominata dalla crescita delle aree artificiali per far fronte a nuove infrastrutture di trasporto, a nuove costruzioni o ad altre coperture non naturali, che con una crescita di oltre il 180% rispetto agli anni ’50, rappresenta l’evoluzione di maggiore entità.

Il bosco ricolonizza le aree abbandonate

Allo stesso tempo, lo stato di abbandono delle aree agricole favorisce nel corso degli anni la ricolonizzazione da parte del bosco, che oggi interessa il 40% del territorio, in particolare nelle zone montane, dove gli alberi arrivano a coprire complessivamente il 65% del territorio.

Rispetto al passato, quando la ricolonizzazione interessava in modo particolare i pascoli, oggi si osserva l’espansione del bosco a carico degli arbusteti, che di fatto rappresentano una tappa intermedia verso gli ecosistemi forestali.

A livello comunale è Reggio Calabria (54,5%) a detenere la maggiore percentuale di territorio ricoperto da alberi, seguita da Genova (54%) e Messina (49,9%). La Capitale si attesta al 21,7%, mentre Milano e Palermo rispettivamente al 10,7% e al 33,4%.

In Italia il lavoro si cerca su Facebook

In Italia il lavoro si cerca su Facebook. Il 35% degli italiani in cerca di un’occupazione utilizza il social network per trovare nuove opportunità di carriera e mettersi in contatto con le aziende che sono alla ricerca di personale. Secondo l’Osservatorio di e-work, agenzia per il lavoro, di questi il 53% sono uomini e il 47% donne. La maggior parte sono residenti al Nord (62%), e tra questi il 28% a Milano. Gli stranieri rappresentano il 16% del totale, e la fascia di età che più utilizza Facebook per cercare lavoro è quella tra i 26 e 45 anni (37%), seguita a ruota dagli utenti con età compresa tra i 18 e i 25 anni (35%) e da quella degli over-45 (28%).

“I social network rappresentano un ottimo strumento per chi cerca un’occupazione online”

“Insieme ai siti, ai portali e alle App dedicate al mondo del lavoro, i social network rappresentano un ottimo strumento per chi cerca un’occupazione online”, spiega Paolo Ferrario, presidente e amministratore delegato dell’agenzia per il lavoro e-work.

Se Linkedin resta ancora il punto di riferimento principale per trovare lavoro, Facebook sta diventando uno strumento sempre più importante. E nei prossimi anni si prevede che, come già accade all’estero, a questo scopo verranno utilizzati sempre di più anche Youtube e Twitter, riporta Adnkronos.

I social media hanno una funzionalità circolare

I candidati che in Italia utilizzano Facebook per cercare lavoro nella maggior parte dei casi si occupano di marketing e comunicazione (32%), IT (24%), risorse umane (15%) e amministrazione (12%).

“Il miglior consiglio per chi cerca lavoro in rete è quello di puntare a una politica di trasparenza. I social media hanno una funzionalità circolare. Per chi cerca lavoro rappresentano una chiave per entrare in contatto con il mondo dei recruiter – aggiunge Ferrario -. A noi professionisti, i social vengono in soccorso per avviare la scelta del miglior profilo, ma servono anche per selezionare e quindi tagliare le candidature”.

55 volte su 100 il profilo social fa cambiare idea al selezionatore

A volte i selezionatori decidono infatti di escludere potenziali candidati proprio dopo aver consultato i loro profili online. I social rappresentano quindi la classica arma a doppio taglio.

Il focus sui profili dei candidati viene effettuato non soltanto in fase preliminare, ma spesso anche dopo un colloquio di selezione. E in questo caso 55 volte su 100 il profilo social fa cambiare idea al responsabile della selezione. E il candidato viene escluso.

Segno meno per la fiducia dei consumatori: in maggio l’indice tocca il suo valore più basso

Il clima di fiducia dei consumatori italiani è in netto peggioramento, e a maggio 2018 da 116,9 l’indice scende a 113,7. Ma secondo gli ultimi dati Istat anche l’indice composito che riguarda le imprese è in flessione, anche se di lieve entità, passando da 105,0 a 104,7.

“Il marcato calo dell’indice del clima di fiducia dei consumatori a maggio – commenta l’Istat – interrompe la sostanziale tenuta registrata nei primi 4 mesi del 2018”. A maggio infatti la fiducia dei consumatori raggiunge il valore più basso dallo scorso settembre: ad agosto era pari a 111,3.

Al calo dell’indice hanno contribuito i giudizi, e soprattutto le attese, sulla situazione economica, anch’esse fortemente peggiorate.

Differenti intensità di flessione

L’evoluzione negativa dell’indicatore di fiducia dei consumatori riflette dinamiche sfavorevoli di tutte le componenti, ma con differenti intensità. Il clima personale e quello corrente passano infatti rispettivamente da 108,0 a 107,7, e da 114,0 a 112,4, mentre il clima economico diminuisce da 141,8 a 132,6, e quello futuro passa da 121,1 a 116,5, mostrando quindi flessioni più marcate, riporta una notizia Askanews.

Con riferimento al mondo delle imprese, il clima di fiducia diminuisce nel settore delle costruzioni (da 135,2 a 134,1), e in quello dei servizi (da 106,4 a 106,0), ma rimane stabile nella manifattura (a quota 107,7). Nel commercio al dettaglio, invece, si stima un aumento dell’indicatore, che passa da 97,6 a 99,8.

Il settore manifatturiero e quello delle costruzioni

A livello settoriale nel comparto manifatturiero migliorano i giudizi sugli ordini, mentre le attese sulla produzione sono in calo, e il saldo dei giudizi sulle scorte di magazzino registra un leggero aumento. Nel settore delle costruzioni si stima un diffuso miglioramento dei giudizi sugli ordini, a cui però si uniscono stime in calo per le aspettative sull’occupazione.

Per quanto riguarda i servizi, l’evoluzione negativa riflette un peggioramento sia dei giudizi sia delle attese sugli ordini. I giudizi sull’andamento degli affari sono invece in miglioramento, e per il settore del commercio al dettaglio, se i giudizi sulle vendite sono in peggioramento, si stima un aumento delle aspettative sulle vendite future.

“Un andamento prevedibile, strettamente connesso alla situazione di instabilità”

Secondo Federconsumatori, riferisce la Repubblica, si tratta di “un andamento ampiamente prevedibile, strettamente connesso alla situazione di instabilitàpolitica, che si riflette sull’andamento economico, causando allarmanti ripercussioni. È inevitabile, in tale contesto, l’apprensione di famiglie e imprese, fattore che di certo peserà sull’andamento economico dei prossimi mesi”.