Pressione fiscale più alta per gli onesti, colpa del “nero”

La pressione fiscale è data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, e nel 2018 si è attestata al 42,1%. Se però dalla ricchezza del Paese (Pil) si sottrae la quota riconducibile al sommerso e alle attività illegali il Pil diminuisce, facendo aumentare il rapporto tra questo e il gettito fiscale. In pratica, la pressione fiscale per i contribuenti onesti sale al 48%, quasi 6 punti in più rispetto al dato ufficiale.

“Sebbene negli ultimi anni il peso complessivo delle tasse risulti leggermente in calo in molti non se ne sono accorti, poiché allo stesso tempo sono cresciute le tariffe della luce, dell’acqua, del gas, i pedaggi autostradali, i servizi postali, i trasporti”, sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo. E anche se dal punto di vista contabile queste voci non rientrano nella pressione fiscale hanno effetti negativi sui bilanci di famiglie e imprese.

L’incidenza del “nero” sul Pil non ha subito variazioni dal 2016

Secondo l’Istat, nel 2016 l’economia non osservata ammontava a 209,8 miliardi di euro, pari al 12,4% del Pil. Di questi, 191,8 miliardi erano attribuibili al sommerso economico e altri 17,9 alle attività illegali. L’Ufficio studi della Cgia ipotizza che l’incidenza del “nero” e delle attività illegali sul Pil nel biennio 2017-2018 non abbia subito variazioni rispetto al 2016. Dopo il picco massimo toccato nel biennio 2012-2013 negli anni successivi la pressione fiscale ha segnato una diminuzione, che nel biennio 2017-2018 si è attestata al 42,1%. Secondo la Cgia non è però da escludere che nel 2019 la pressione fiscale torni a salire. Non tanto perché il prelievo complessivo sia destinato ad aumentare, ma perché la crescita del Pil sarà molto contenuta, e nettamente inferiore alla variazione registrata l’anno scorso.

Recuperare almeno 33 miliardi per non far salire i prezzi

“Se da un lato abbiamo recuperato 7,6 miliardi di euro che ci hanno evitato la procedura di infrazione da parte dell’Ue – rileva il segretario Cgia Renato Mason – dall’altro lato dobbiamo trovare entro dicembre 23 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e altri 10-15 miliardi per estendere a tutta la platea dei contribuenti la flat tax”. Insomma, per evitare un forte aumento dei prezzi di beni e servizi e beneficiare di una riduzione del carico fiscale dovremmo recuperare in pochi mesi almeno 33 miliardi, riferisce Adnkronos.

Il rapporto tra fisco e aziende sta cambiando, ma non porta sostanziali benefici

Dopo l’introduzione della fatturazione elettronica, dal 1° luglio è scattato l’obbligo di memorizzazione e di invio telematico dei corrispettivi per le partite Iva con volume d’affari superiore ai 400.000 euro. Da qualche settimana poi piccoli imprenditori, artigiani e commercianti sono alle prese con la dichiarazione dei redditi, che da quest’anno prevede la sostituzione degli studi di settore con gli Isa. Un nuovo strumento che sta mettendo in difficoltà anche gli stessi addetti ai lavori, e che rischia di tradursi in un aumento dei costi legati alla burocrazia fiscale. E che evidenzia come il rapporto tra fisco e aziende stia cambiando rapidamente, senza però portare sostanziali benefici in termine di riduzione delle tasse.