Un tatuaggio può costare il posto di lavoro?

Sempre più di moda, e fra tutte le fasce di età e di estrazione sociale, i tatuaggi esprimono personalità, raccontano qualcosa di una persona. Che siano tribali, fantasy, etnici, semplici disegni schematici blu o neri, oppure più elaborati e multicolori, oggi non sono più considerati il vezzo di un ragazzino desideroso di sentirsi grande.

Ma i tatuaggi, a prescindere dall’aspetto estetico, rischiano di rappresentare un problema per accedere ad alcune professioni. Non sempre i recruiter vedono di buon occhio l’inchiostro indelebile inciso sotto la pelle di un candidato. Uno studio dell’Università di Miami smentisce però l’opinione diffusa secondo la quale l’assunzione in un posto di lavoro preveda discriminazioni per i tatuati.

Qualcosa è cambiato

Lo studio, guidato dal professor Michael French, insieme ad altri ricercatori provenienti dall’Università di Miami e da quella di Economia dellAustralia Occidentale, ha preso in considerazione duemila testimonianze di persone raccolte online. La ricerca smentisce l’opinione comune secondo cui un tattoo pregiudicherebbe l’ingresso nel mondo del lavoro, ed è apparsa a inizio agosto sulla rivista americana Sage Journal. Dove si legge che “sorprendentemente non ha trovato prove empiriche di discriminazione sul lavoro, sul salario o sui guadagni nei confronti di persone con vari tipi di tatuaggi”.

Nessuna differenza, aggiunge Quartz, tra chi ne ha uno soltanto o di più. E il successo di un colloquio di lavoro non dipende neppure dal fatto che siano visibili o nascosti dagli abiti.

Chi è senza tatuaggi rischia una discriminazione al contrario?

Un altro studio, Body Art as a Source of Employment Discrimination, condotto dal professore Chris Henle dell’Università del Colorado e pubblicato a luglio dalla Academy of Management Journals, ha cercato di capire se la discriminazione legata a tattoo e piercing sia correlata alla percezione di chi si occupa dei colloqui di lavoro.

Per farlo, il suo team ha messo alla prova 143 manager che nell’ultimo anno si sono occupati di almeno una assunzione per conto della società per la quale lavorano. A loro sono stati mostrati curricula ritenuti ugualmente attrattivi, profili di candidati paragonabili, ma alcuni con fotografie ritoccate con l’aggiunta di tatuaggi, piercing e altri tipi di body art. Risultato? Ad avere più probabilità di assunzione sono stati i candidati senza inchiostro sotto la pelle né decorazioni di sorta.

Cosa prevede la legge italiana

La legge italiana naturalmente non consente di discriminare sulla base di aspetti come i tatuaggi. Via libera ai tatuati, quindi, per i concorsi pubblici e per le occupazioni nella pubblica amministrazione. L’unico ambito nel quale è stata stabilita una norma in materia è quello relativo all’esercito.

Si tratta della Direttiva sulla regolamentazione dell’applicazione di tatuaggi da parte del personale dell’Esercito, una circolare datata 26 luglio 2012, che intende “prevenire e contenere situazioni che possono incidere sul decoro dell’uniforme e sull’immagine dell’Esercito”.