Author Archives: Gerardo Tartaglia

Anche con gli sconti, la Tecnologia di Consumo cala dell’-11% nel 2023

Nella settimana del Black Friday 2023, le rilevazioni effettuate da GfK sul Panel Weekly per le categorie più importanti del mercato della Tecnologia di Consumo mostrano un calo del fatturato. Dal 20 al 26 novembre TV, PC, Smartphone, Tablet, Wearable, Frigoriferi, Lavatrici, Aspirapolvere, Stampanti, e altri prodotti tech hanno generato un controvalore pari a 438 milioni di euro. In calo del -11% rispetto al Black Friday 2022.

La settimana del Black Friday rimane comunque la più importante del 2023 per giro d’affari. Rispetto al fatturato della settimana media riferita all’ultimo anno, l’incremento è del +117%. E il confronto è positivo anche rispetto alla settimana precedente. In questo caso la crescita è del +47% a valore.
Negli ultimi anni però le promozioni si sono moltiplicate e il Black Friday non è più un appuntamento unico per chi vuole fare buoni affari.

Un trend negativo in linea con il resto dell’anno

In linea con il resto dell’anno, anche la settimana del Black Friday ha fatto registrare un trend negativo rispetto allo stesso periodo del 2022.
Ma anche le settimane precedenti al Black Friday sono state negative, e il mese di novembre, solitamente molto importante per il settore, non sembra essere stato in grado di risollevarne le sorti.

Dopo la crescita record degli anni della pandemia, e un 2022 leggermente negativo (-2,3%), dall’inizio del 2023 il settore della Tecnologia di Consumo sta vivendo un rallentamento della domanda.
Le ragioni sono da ricercarsi nell’effetto saturazione registrato da alcuni settori cresciuti molto negli scorsi anni, e nelle preoccupazioni dei consumatori legate al carovita e alle crisi internazionali.

Elettronica di Consumo a -25%

Il trend negativo ha riguardato sia i punti vendita tradizionali (-12%) sia il canale online (-10%), anche se durante la settimana del Black Friday, le vendite tramite internet hanno contribuito al 38% del fatturato totale.

Tutti i comparti registrano performance negative rispetto al Black Friday 2022, ma quelli che hanno sofferto meno sono stati l’Home Comfort (-2%), il Grande Elettrodomestico (-3%), il Piccolo Elettrodomestico (-4%) e il Telecom (-4%). La decrescita più notevole è stata invece quella dell’IT&Office (-21%) e dell’Elettronica di Consumo (-25%).

Bene solo Lavastoviglie e Stampanti Multifunzione

Guardando alle tre categorie più importanti in termini di fatturato, in leggero calo gli Smartphone (-2%), mentre registrano trend decisamente negativi rispetto allo scorso anno i PC Portatili (-24%) e le TV (-26%).
Gli unici prodotti che segnano una crescita rispetto al Black Friday 2022 sono le Lavastoviglie (+12%) e le Stampanti Multifunzione (+3%).

L’impatto delle attività promozionali nella settimana del Black Friday è calato rispetto agli ultimi anni, e si assesta al 38% dei volumi venduti con una riduzione di prezzo di almeno il 10%. I Mediatablets sono stati i prodotti con la percentuale più alta di vendite promozionali (54%).

Black Friday, cosa comprano gli italiani?

I saldi del Black Friday e del Cyber Monday 2023 attirano l’attenzione degli shopping addicted italiani, come evidenziato dall’Osservatorio Inflazione di Ipsos. Il 97% degli italiani è a conoscenza del Black Friday, un periodo caratterizzato da vendite promozionali con sconti significativi su una vasta gamma di prodotti, con un numero sempre crescente di aziende che aderiscono all’evento.

Oltre il 61% della popolazione è propensa all’acquisto

Secondo l’Osservatorio Inflazione, oltre la metà della popolazione italiana (61%) è propensa ad acquistare durante il Black Friday 2023, con un aumento soprattutto tra i giovani e coloro che hanno figli minorenni.
Le categorie di prodotti che registrano le maggiori preferenze, rispetto al 2022, sono l’elettronica e gli alimentari, mentre i giocattoli escono dalla lista degli oggetti preferiti.

Quattro giorni di sconti sull’onda degli States

Il Black Friday 2023 inizia il 24 novembre. L’ultimo venerdì del mese è conosciuto anche come il Venerdì Nero, un termine informale utilizzato negli Stati Uniti per indicare il venerdì successivo al Giorno del Ringraziamento. Questo data segna l’inizio della stagione dello shopping natalizio e prevede tradizionalmente grandi sconti e offerte.
Storicamente, gli sconti del Black Friday dovrebbero durare un giorno solo, ma negli ultimi anni le aziende hanno mostrato una tendenza ad anticipare la data, offrendo saldi durante l’intera settimana ed estendendoli fino al Cyber Monday, quest’anno il 27 novembre.

I giovani i più attivi nello shopping

Il Black Friday si è consolidato anche in Italia, con un crescente successo e entusiasmo tra i consumatori. Dall’Osservatorio Inflazione emerge che il 61% degli italiani ha l’intenzione di fare acquisti durante questo evento, con una lieve diminuzione rispetto all’anno precedente (-4%).
Sono particolarmente propensi all’acquisto i giovani tra i 18 e i 34 anni (71%) e coloro che hanno figli minorenni (70%).

Di tutto e di più 

Le categorie di prodotti che registrano i maggiori acquisti durante il Black Friday includono abbigliamento, intimo, accessori, libri, prodotti di elettronica, prodotti alimentari, prodotti per la bellezza e la cura della persona, e profumi.
Rispetto al 2022, entrano in classifica i prodotti di elettronica e alimentari, mentre escono i giocattoli.

Business Travel, in Italia “sono ripartiti” i viaggi di lavoro? 

Nel mese di ottobre del 2023 gli indicatori relativi al business travel sono positivi, e addirittura si avvicinano ai livelli prepandemia. Lo evidenzia il Gruppo Uvet, big nel settore del turismo in Italia e fornitore di servizi innovativi per viaggi leisure, mobility management ed eventi. La società ha divulgato i dati relativi al mese di ottobre 2023 del Business Travel Trend (BTT), un indice mensile basato su dati del business travel in Italia, elaborato in collaborazione con il Centro Studi Promotor (CSP) tramite un campione rappresentativo delle principali aziende operanti in vari settori dell’economia italiana.

Il riferimento per i confronti è il 2019

L’indice BTT di Uvet Global Business Travel viene confrontato con i dati del 2019, attribuendo a quest’ultimo un valore di base 100. Questa convenzione rappresenta un punto di partenza per esprimere gli andamenti mensili attuali e futuri, correlati strettamente all’andamento dell’economia. L’indicatore mira a delineare un trend nel tempo, basato su dati pre-pandemia e all’interno di un cluster omogeneo e rappresentativo.

Positivi soprattutto i settori del Car Rental e dell’Hospitality

Nel mese di ottobre, il dato progressivo del Business Travel Trend si attesta a 92 su base 100, in linea con il valore di settembre 2023, che era di 93. Le transazioni rimangono stabili a un valore di 71, identico rispetto a settembre. La spesa media, seppur in lieve diminuzione rispetto al mese precedente, si mantiene a quota 115.

Dal punto di vista economico, risultano positivi il BTT del Car Rental (110) e dell’Hospitality (95), mentre i settori treni e voli registrano indici rispettivamente di 55 e 74. Nonostante una domanda più elevata, la spesa media per i pernottamenti conferma un valore di 126, e nel noleggio auto si attesta a 128. Al contrario, la spesa media nei trasporti aerei e ferroviari si colloca sotto quota 100. Questi dati riflettono la tendenza dell’anno in corso.

L’impatto della crisi pandemica sul comparto dei viaggi d’affari

È fondamentale sottolineare che l’indicatore non riflette l’andamento specifico di Uvet, ma piuttosto il trend del mercato del business travel. Analizzando il periodo 2020-2022, il BTT evidenzia l’impatto della crisi pandemica, con indici di transazioni pari a 31 e 33 nel 2021 e 2022, aggravato nel 2020 dall’indice globale di spesa a causa della crescente inflazione, dei costi energetici e della congestione dell’offerta, specialmente nel settore aereo. Tutti gli indici sono derivati da un campione significativo e omogeneo.

Un’impresa su 4 prevede business in crescita nel 2024

Il quadro internazionale, a livello economico e geopolitico, appare complesso. Eppure, secondo un sondaggio condotto da Ipsos-Unioncamere-Tagliacarne, per circa un quarto delle imprese italiane nel 2024 gli affari dovrebbero crescere. Per la maggioranza delle imprese – e anche questa è una risposta positiva – il trend rimarrà stabile.
Questi risultati sono stati presentati durante la Conferenza internazionale organizzata da Unioncamere in collaborazione con la Camera di commercio di Torino. L’obiettivo dell’incontro era fare il punto sulle criticità e le sfide che il sistema produttivo italiano deve affrontare.

Il sentiment degli imprenditori

Il primo passo per comprendere la situazione è valutare il sentiment degli imprenditori. Secondo il sondaggio, il 60% degli imprenditori ritiene che nei prossimi 12 mesi la situazione rimarrà stabile per chi fa impresa, mentre per quasi il 25% migliorerà notevolmente o almeno leggermente. La quota di coloro che esprimono pessimismo è inferiore all’18%, in netto calo rispetto all’anno precedente quando era del 42%. 

Il Nord vede rosa più del Sud

Le regioni italiane non condividono tutte questa prospettiva. Le aziende del Nord Italia mostrano più ottimismo rispetto a quelle del Mezzogiorno e del Centro Italia, con una percentuale dell’85% di ottimisti o “neutrali” al Nord, rispetto all’81% al Sud e al 77% al Centro. Inoltre, il settore manifatturiero e i servizi sembrano più ottimisti rispetto al settore commerciale.

Il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, ha sottolineato che nonostante l’incertezza a livello globale, gli italiani sono abituati a lavorare con creatività e resilienza. Ha anche menzionato che il digitale e l’ambiente stanno contribuendo a potenziare la fiducia delle imprese nel futuro. Ha dichiarato: “Tra il 2023 e il 2025, il 41% delle imprese con un numero di dipendenti tra 5 e 499 prevede di investire nella transizione digitale, mentre il 46% prevede di investire nella transizione verde. Questo è uno dei motivi per cui ci sono più aziende che prevedono un miglioramento del proprio business rispetto a quelle che prevedono un peggioramento (24% contro 18%)”.
Inoltre, ha sottolineato la necessità di semplificare la burocrazia e le procedure che ostacolano le imprese in Italia, soprattutto per i giovani che vogliono avviare la propria attività.

Investimenti per affrontare le difficoltà 

In Italia, sono stati registrati progressi nell’innovazione e nella sostenibilità. Un quarto delle imprese ha investito in tecnologie a basso impatto ambientale, anche se il 15% ritiene che le risorse economiche siano insufficienti per affrontare questa sfida e il 5,2% lamenta i costi elevati delle materie prime ecologiche.
Inoltre, l’adozione del digital lending da parte di soggetti finanziari non bancari è in crescita, e l’Italia è al terzo posto nella classifica a livello del G7, dopo Stati Uniti e Regno Unito, per i prestiti concessi da soggetti non bancari, con 1,9 miliardi di dollari.

Italia prima in UE per progetti di Intelligenza artificiale nella PA

Con 63 progetti l’Italia è al 2° posto dei Paesi europei impegnati nello sviluppo delle soluzioni di Intelligenza artificiale nella Pubblica Amministrazione, ma conquista il primato per numero di progetti implementati (38), circa il 10% del portafoglio europeo.

A quanto emerge dal report Le opzioni tecnologiche per la digitalizzazione avanzata della, realizzato da The European House – Ambrosetti e Salesforce, dal 2010 al 2021 i progetti di AI nelle PA europee sono passati da 26 a 148 all’anno, per un totale di 637 progetti mappati. Il 30% ha l’obiettivo di migliorare i servizi rivolti a cittadini e imprese.
A livello globale l’interesse per le applicazioni di AI nella PA è trainato dagli USA, che negli ultimi 5 anni ha investito oltre 60 miliardi di dollari, mentre l’Italia, con 1 miliardo di euro, sembra adottare un approccio più conservativo, allocando meno risorse pubbliche suddivise in un più ampio numero di iniziative.

Raggiungere il target europeo sulle competenze digitali di base

Considerando che l’Italia oggi si pone al 20° posto in UE per incidenza dei servizi pubblici digitali erogati ai cittadini, emerge la necessità di spingere sulla diffusione di tecnologie digitali nella PA, in particolare, architetture Cloud, e piattaforme pubbliche di Open Data, per condividere l’enorme patrimonio informativo disponibile con altre PA, cittadini e imprese.

Ma per implementare la AI nella PA è necessario investire sulla formazione digitale. Per raggiungere il target europeo (80% della popolazione con competenze digitali di base entro il 2030) all’Italia mancano 15,3 milioni di cittadini.
È quindi urgente intervenire con un piano di alfabetizzazione digitale dei cittadini: tutti gli stakeholder sono chiamati a fare la propria parte.

Attuare con urgenza le iniziative del PNRR

Allo stesso tempo, bisogna favorire lo sviluppo delle competenze digitali avanzate. In Italia sono ‘solo’ 42.000 i laureati in discipline ICT.

Il report ribadisce anche l’urgenza di attuare prima possibile le iniziative sulla digitalizzazione presenti nel PNRR. Sono infatti previsti circa 6,1 miliardi di euro per digitalizzare la PA, oltre 3 volte quelle dell’attuale spesa ICT della PA relativa alla digitalizzazione. Ovvero, circa 1,8 miliardi di euro relativi alle attività di sviluppo software.

Sì all’AI, ma con responsabilità

Il report individua 5 principi guida per un approccio responsabile all’adozione dell’AI. Il primo è la trasparenza degli algoritmi e la spiegabilità dei risultati prodotti. Il secondo riguarda la responsabilità nell’ambito del processo decisionale: è infatti opportuno che le decisioni finali spettino a un essere umano.

Il terzo riguarda i dati utilizzati dall’AI, che dovrebbero essere di elevata qualità per garantire decisioni accurate, cruciali ed etiche.
Il quarto è relativo all’interoperabilità e condivisione dei dati tra le Amministrazioni per adoperare standard comuni e diffondere gli Open Data nel settore pubblico. E il quinto suggerisce di adottare l’approccio Privacy by design per incorporare la protezione della privacy e della sicurezza dei dati in tutte le fasi del processo. 

Il 76% degli italiani segue almeno un influencer

Sono 28 milioni gli italiani che seguono almeno un influencer, il 76% della popolazione tra 16 e 65 anni. Coloro che ne seguono più di due sono 21 milioni, mentre un quinto dei nostri connazionali segue mediamente addirittura 11 o più influencer pro capite.
In questo caso, si parla di 7 milioni di persone.
In pratica, questo significa che milioni di persone possono essere raggiunte dai messaggi dei creator in maniera molto diretta e immediata.

Insomma, si tratta di una audience paragonabile a quella della tv.
È quanto emerge dall’Osservatorio InSIdE (aka influencer, stories, identities and evolutions) dedicato all’Influencer marketing, progetto di Pulse Advertising, l’agenzia internazionale di influencer marketing, social media management e paid advertising.

Social media e influencer marketing al centro del media mix dei brand

“In Italia questo bacino di utenti non è ancora considerato in modo adeguato dalle aziende che comunicano – afferma Paola Nannelli, Executive Director di Pulse Advertising e ideatrice dell’Osservatorio Inside -. Social media e influencer marketing devono diventare centrali nel media mix dei brand”.

Oggi i canali social sono uno strumento di comunicazione vero e proprio, e danno spazio a ogni tipo di messaggio.
La potenza dei messaggi non premia solo i content creator che hanno centinaia di migliaia di follower. La rete ‘social’ ha infatti accorciato le distanze e ha convinto tanti professionisti, prima semplici fruitori, a diventare content creator.

Intercettare direttamente un bacino molto ampio di utenti profilati 

Spesso, infatti, tanti professionisti si sono ‘trasformati’ in veri e propri influencer del settore di riferimento, dall’esperto di elettrodomestici all’esperto di fisco, o attività bancarie, o ancora, immobiliare, solo per citare alcune esempi di content creator.

Di fatto, se gestiti in modo efficace i social network permettono anche a piccole realtà di intercettare direttamente un bacino molto ampio di utenti ‘profilati’, proprio quegli stessi utenti che a tutti gli effetti sono potenziali clienti.

Da YouYube a TikTok a Facebook: il social cambia a seconda dell’età

Dal survey emerge poi una tendenza ancora valida. I social network seguiti cambiano a seconda dell’età degli utenti.
Se la Gen Z ama Youtube, Instagram e Tiktok, i Millenials passano più tempo su Instagram, Telegram e Facebook. Quest’ultimo rimane in assoluto il medium preferito dalla Gen X e dai Millenials in particolare.

L’affezione a uno o più canali, riporta Askanews., è influenzata anche dalla capacità di gestire funzioni e tool di terze parti per la creazione di contenuti e per l’interazione con altri utenti. Tanto che i social più evoluti, come TikTok ad esempio, mettono in difficoltà chi non è nativo digitale, oppure digitalmente evoluto.

Fenomeno podcast: in un anno aumentato sensibilmente il numero di ascoltatori

E’ aumentato ancora il numero dei fan dei podcast: nell’ultimo anno, sono poco meno di 12 milioni (circa 11,9 milioni). Gli ascoltatori sono ora il 39%, della fascia di età 16-60 anni, contro il 36% dell’anno precedente. Lo rivelano i dati 2023 della ‘Ipsos Digital Audio Survey’, un’indagine che analizza l’ascolto e le modalità di fruizione di tutte le forme di Digital Audio. Questo studio, giunto alla sua quinta edizione, si è affermato come un punto di riferimento per produttori, distributori e investitori interessati ai podcast e alla loro integrazione all’interno di una strategia audio.

Il profilo degli ascoltatori

In questo scenario, è interessante scoprire quali caratteristiche abbiano gli ascoltatori di questo media. Il profilo degli ascoltatori conferma le tendenze emerse fin dall’inizio del monitoraggio: sono in media più giovani, con un elevato livello di istruzione e professionalità. Presentano anche alcune caratteristiche “di pregio” in termini di comportamenti di consumo, essendo consumatori responsabili, inclini all’esplorazione delle nuove tecnologie, orientati verso prodotti/servizi premium e sensibili alle raccomandazioni degli artisti che seguono. Possono anche influenzare il loro gruppo di pari quando si tratta di intrattenimento.

Un format fruibile… ovunque

Un altro elemento chiave di questa tipologia di mezzo è la possibilità di usufruirne ovunque e in qualsiasi momento. L’ascolto avviene principalmente tramite smartphone (75%), ma con una percentuale di ascoltatori che utilizza anche altri dispositivi come computer (33%, in calo), tablet (23%) e, soprattutto, smart speaker (13%). Il podcast viene ascoltato soprattutto a casa (74%), ma si osserva un aumento dell’ascolto in auto (33%) e una stabilità nell’uso dei mezzi pubblici (20%) e nell’ascolto mentre si cammina per strada (21%). Nell’indagine, quattro ascoltatori su dieci dichiarano di ascoltare più podcast rispetto all’anno precedente. Inoltre, il loro giudizio sui podcast è migliorato grazie a un maggiore ascolto, segnale di un’adesione sempre più forte a un formato che offre contenuti di qualità.

Cresce l’ascolto guidato da trigger

La scelta di ascoltare un podcast è spesso influenzata dall’interesse per un argomento specifico (32%), ma è interessante notare che il peso di questo fattore tende a diminuire nel tempo, mentre cresce l’importanza di altri “trigger” come siti di news, post sui social media, passaparola online e offline, suggerimenti da piattaforme podcast e contenuti ascoltati in TV o alla radio. La capacità di trattenere l’attenzione è una caratteristica chiave dei podcast, con il 57% degli utenti che dichiara di ascoltarli per l’intera durata. Questo è un indicatore importante dell’engagement che questo formato è in grado di generare.

La serializzazzione dell’ascolto

Un altro dato positivo è la conferma della “serializzazione” dell’ascolto, con il 78% degli ascoltatori che segue serie di podcast, spesso ascoltando l’intera serie (43%). La serializzazione è un potente strumento di fidelizzazione che alimenta conversazioni e passaparola.

Mobilità attiva: in calo il trend di spostarsi a piedi o in bici

È quanto indicano i dati della Sorveglianza Passi, condotta dal Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute (Cnapps) dell’Istituto superiore di sanità (Iss): sono poco più di 4 italiani adulti su 10 (42%) a recarsi a scuola o al lavoro a piedi, in bicicletta, o utilizzando altre strategie di mobilità attiva. Ma il trend è in calo rispetto agli anni passati. In molti casi, poi, i valori appaiono al di sotto della soglia che permetterebbe di ottenere i maggiori benefici indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità per la diminuzione della mortalità e ridurre l’insorgenza di molte malattie croniche.

Il Sud è più sedentario

“Complessivamente – riferisce l’Istituto – nel biennio 2021-2022 il 42% degli adulti intervistati pratica mobilità attiva e dichiara di aver usato la bicicletta o di essersi spostato a piedi per andare al lavoro, a scuola o per gli spostamenti quotidiani nel mese precedente l’intervista”.
Ma il trend appare in calo, considerando che “dal 2017 al 2022 – continua l’Iss – si registra una lieve diminuzione della quota di persone che si muove a piedi o in bici per gli spostamenti abituali, in particolare, la riduzione è più forte tra coloro che riescono a raggiungere i livelli di attività fisica raccomandati, specialmente al Sud”.

L’Oms raccomanda almeno 150 minuti a settimana di attività moderata

“Il 19% degli intervistati – dettaglia ancora l’Iss – risulta fisicamente attivo con la sola pratica della mobilità attiva, perché grazie a questa raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati dall’Oms, ovvero almeno 150 minuti a settimana di attività moderata, e il 23% risulta parzialmente attivo per mobilità attiva praticata, perché si sposta a piedi o in bicicletta, ma lo fa per meno di 150 minuti a settimana. La quota di persone che raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati dall’Oms attraverso la mobilità attiva è maggiore tra i 18-24enni, ma anche fra i 50-69enni, fra le persone con alto livello di istruzione, fra gli stranieri e fra i residenti nelle regioni settentrionali, rispetto al resto del Paese, riporta Adnkronos.

Quattro consigli per spostamenti più salutari

Se la distanza non è eccessiva il consiglio è di muoversi a piedi, considerando che i 150 minuti di attività fisica moderata alla settimana raccomandati dall’Oms corrispondono a un tragitto quotidiano di circa 2,5 km per 5 giorni. Se però ci si muove prevalentemente con i mezzi del trasporto pubblico, riporta il Sole 24 Ore, perché non riservare un tratto del percorso, almeno 1 km, da fare a piedi. E se si vuole utilizzare la bicicletta e la distanza è troppa, perché non considerare l’ipotesi di una ‘mobilità mista’, ad esempio, combinando treno o metro (molti mezzi prevedono la possibilità di salire con biciclette, e-bike e bici pieghevoli) con tragitti in bicicletta. Ma se proprio non si può evitare di muoversi in automobile, parcheggiare a distanza dal luogo di arrivo e proseguire a piedi per almeno 1 km.

Bonus acqua potabile: c’è tempo fino al 31 dicembre per richiederlo

Chi acquista e installa sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e addizione di anidride carbonica alimentare, fino al 31 dicembre può beneficiare del bonus acqua potabile.
C’è quindi ancora tempo fino a fine anno per richiederlo, mentre per il 2024 bisognerà attendere eventuali interventi di proroga. Possono richiedere l’agevolazione le persone fisiche, gli esercenti di attività d’impresa, arti e professioni e gli enti non commerciali. La domanda deve essere presentata all’inizio dell’anno successivo a quello di sostenimento delle spese.
La misura è stata introdotta dalla Legge di Bilancio 2021 con lo scopo di razionalizzare l’uso dell’acqua e ridurre il consumo di contenitori di plastica. Successivamente, sono state stanziate nuove risorse per prorogare l’agevolazione anche al 2023, ma più ristrette rispetto agli anni precedenti, e pari a 1,5 milioni di euro.

Anche per le spese del 2023 spetta il credito d’imposta

Il credito d’imposta a cui si ha diritto può arrivare a un massimo del 50% dei costi sostenuti entro i limiti di 1.000 euro per ciascun immobile, o 5.000 euro per ogni immobile adibito all’attività commerciale o istituzionale. Il valore del bonus acqua potabile, quindi, può arrivare a un massimo di 500 o 2.500 euro, da utilizzare in compensazione o tramite dichiarazione dei redditi.
Stando alle indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate per gli anni scorsi, la domanda può essere inviata dal 1° al 28 febbraio 2023 comunicando l’ammontare dei costi sostenuti tramite il servizio online disponibile sul portale istituzionale.

Come richiederlo?

Per poter procedere con la richiesta è necessario, prima di tutto, effettuare l’accesso all’area riservata tramite le credenziali SPID, CIE (Carta d’Identità Elettronica), o CNS (Carta Nazionale dei Servizi).
Una volta all’interno, nella sezione dedicata alle agevolazioni bisogna selezionare la voce Credito di imposta per il miglioramento dell’acqua potabile. Per poter accedere all’agevolazione è necessario essere in possesso di una fattura elettronica o di un documento commerciale con l’indicazione del codice fiscale del soggetto che richiede il credito. Le persone fisiche, e in generale gli aspiranti beneficiari diversi da quelli che esercitano attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria, non possono effettuare il pagamento in contanti.

Il valore effettivo del beneficio viene stabilito in base alle richieste

Nonostante la norma indichi il credito d’imposta spettante come pari al 50% dei costi sostenuti, è più corretto parlare di una misura massima pari alla metà delle spese di acquisto dei sistemi di miglioramento dell’acqua potabile. Il valore del beneficio, infatti, viene stabilito in base alle risorse disponibili e alle richieste ricevute dall’Agenzia delle Entrate. Considerando questa modalità di calcolo, negli anni scorsi il bonus acqua potabile non è mai stato riconosciuto in misura piena.
In ogni caso, una volta ottenuto sarà possibile fruire del credito d’imposta riconosciuto in compensazione tramite il modello F24. Le persone fisiche, non esercenti attività d’impresa o lavoro autonomo, possono utilizzarlo anche nella dichiarazione dei redditi riferita all’anno della spesa e in quelle degli anni successivi fino al completo impiego dell’importo.

Musei pubblici e digitale: un potenziale di crescita ancora ampio

I musei italiani appaiono ancora indietro nell’adozione di strumenti digitali. In particolare, meno di un terzo (31,2%) offre ai visitatori video e/o touch screen per la descrizione e l’approfondimento delle opere, solo il 27,5% è dotato di QR Code e/o di Wi-Fi nelle strutture, meno di uno su cinque mette a disposizione applicazioni per tablet e smartphone, poco più di uno su cinque (22,4%) è dotato di supporti multimediali. E il 34,8% non ha ancora digitalizzato i beni esposti al pubblico e il 37,8% quelli conservati in archivio. E se solo poco più di 1 museo su 5 organizza convegni, conferenze e seminari online o tour virtuali, il 37% degli istituti culturali in Italia non è ancora presente sul web con un proprio sito dedicato. Inoltre, la biglietteria online è presente solo in 1 ente su 5. È quanto emerge dallo studio Musei pubblici, un patrimonio strategico per il sistema Italia, condotto da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Aditus.

Con strumenti 4.0 ricavi fino al 66% in più

Secondo lo studio, l’intero sistema dei musei pubblici italiani nel 2019 ha generato 242,4 milioni di euro di ricavi da ingressi. Un dato in crescita del 10,8% dal 2012, ma che equivale alla somma dei ricavi di appena 5 dei musei e monumenti più visitati d’Europa: Louvre, Tour Eiffel e Musee d’Orsay in Francia, Prado e Museo Reina Sofia in Spagna. Se i musei pubblici introducessero strumenti e logiche 4.0, digitalizzando l’esperienza di visita, ottimizzando le tariffe e ampliando l’offerta di servizi disponibili, i ricavi aumenterebbero fra il 44% e il 66%.

Servono nuove logiche di gestione

Il settore museale potrebbe essere un volano per lo sviluppo del Paese. L’effetto moltiplicatore economico e occupazionale consentirebbe infatti di attivare 237 euro distribuiti in tutti i settori economici per ogni 100 euro investiti nelle attività museali e culturali, e 1,5 occupati esterni al comparto per ogni posto di lavoro creato al suo interno.
Per rafforzare la competitività dei musei pubblici, e sostenerne lo sviluppo, serve ridare centralità al visitatore e investire nell’ampliamento dell’offerta dei servizi museali e culturali, integrando prodotti aggiuntivi e il canale digitale nell’esperienza di visita del museo. Anche introducendo nuove logiche di gestione e metodi di comunicazione e marketing digitali.

Ma 8 regioni su 20 hanno ridotto numero di enti culturali

Di fatto, nonostante i ricavi dei musei statali siano cresciuti, il 37% degli enti statali e il 45% di quelli pubblici non statali sono a ingresso completamente gratuito. Anche il 51% dei visitatori negli enti statali e pubblici non statali è a titolo gratuito, con valori particolarmente elevati negli enti statali (58%). Inoltre, se il patrimonio museale in Italia è distribuito sul territorio le performance di attrazione sono molto differenziate. Otto regioni su venti hanno ridotto numero di enti culturali. Il Lazio, con il 7% del patrimonio nazionale, attrae un quarto dei visitatori annuali totali in Italia, e la grande maggioranza dei ricavi si concentra in sole tre regioni: Lazio, Campania, Toscana.