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Allestimento per negozi: come misurare i risultati

L’allestimento è un aspetto fondamentale di ogni attività commerciale. La disposizione dei prodotti, l’illuminazione, l’arredamento e il design del punto vendita sono tutti elementi che possono influire sull’esperienza d’acquisto dei clienti e sulle vendite.

Ma come si misurano i risultati dell’allestimento per negozi? È possibile capire cosa sta funzionando e su cosa possiamo lavorare per migliorare le vendite?

Questo è proprio ciò di cui parleremo di seguito, fornendo tutti  i consigli utili che gli imprenditori possono considerare per valutare l’efficacia dell’allestimento di ogni attività.

L’importanza della misurazione dei risultati

Misurare l’efficacia dell’allestimento di un negozio è importante per diverse ragioni.

Innanzitutto, permette agli imprenditori di capire se l’allestimento attuale stia funzionando o se ci sono degli elementi che possono essere migliorati.

In secondo luogo, aiuta a identificare le tendenze e le preferenze dei clienti, che possono essere utili per la pianificazione futura dell’allestimento e degli spazi.

Infine, la misurazione dei risultati può aiutare i gestori di ogni punto vendita anche ad identificare i prodotti che stanno vendendo meglio, in modo da poter aggiornare e migliorare l’assortimento di prodotti.

Le metriche da utilizzare

Ci sono diverse metriche che gli imprenditori possono utilizzare per misurare i risultati dell’allestimento per negozi. Ecco alcune delle più importanti:

Vendite totali: la metrica più ovvia da utilizzare è quella delle vendite totali. Questa metrica indica quante vendite sono state effettuate durante un determinato periodo di tempo. Bisognerebbe dunque confrontare le vendite totali prima e dopo il cambio di allestimento del negozio per capire se ci sono state migliorie o peggioramenti.

Vendite per settori: un’altra metrica importante da considerare è quella delle vendite per settori. Questa metrica indica quante vendite sono state effettuate in ogni singola area del negozio, e questo dato può aiutare gli imprenditori a capire se ci sono aree del negozio che non stanno funzionando bene e che potrebbero essere utilizzate meglio.

Conversioni: questa metrica indica quanti clienti hanno effettuato un acquisto rispetto al numero totale di visitatori del negozio. Il numero di conversioni può aiutare gli imprenditori a capire se ci sono problemi con l’allestimento del negozio che impediscono ai clienti di effettuare acquisti.

Tempo medio di permanenza in negozio: il tempo medio di permanenza in indica quanto tempo i clienti trascorrono all’interno del negozio. Questa metrica può aiutare gli imprenditori a capire se gli allestimenti attuali siano in grado di attrarre i clienti e se i clienti stessi stiano trascorrendo abbastanza tempo all’interno del negozio per effettuare acquisti, o se ad esempio risulti essere difficile individuare i prodotti desiderati tra quelli esposti.

Nuovi clienti: questo parametro indica quanti clienti hanno visitato il negozio per la prima volta durante un determinato periodo di tempo. Essere in possesso di questo dato può aiutare a capire se gli allestimenti del negozio sono in grado di attrarre nuovi clienti e se ci sono problemi per i quali i nuovi clienti preferiscono non tornare.

Feedback dei clienti: infine, il feedback dei clienti è un’altra importante metrica da tenere in considerazione. Gli imprenditori potrebbero chiedere ai clienti di fornire un feedback sulla loro esperienza in negozio e sugli allestimenti in generale. Questo feedback può aiutare a capire cosa funziona e cosa non funziona nell’allestimento del punto vendita e a identificare le aree che possono essere migliorate.

Conclusioni

Come è evidente, l’allestimento è un aspetto fondamentale per ogni tipo di attività commerciale, dai piccoli negozi ai grandi franchising.

In alcuni casi è sufficiente passare ad altro tipo di scaffali o espositori per aumentare le vendite (in questo senso vanno attualmente forte gli espositori in cartone, altamente personalizzabili), in altri casi è necessario rivedere il layout del punto vendita e l’organizzazione interna.

A prescindere, misurare l’efficacia dell’allestimento del proprio negozio è importante per capire se ci sono aree che possono essere migliorate e per identificare le tendenze e le preferenze dei clienti.

La metriche a disposizione degli imprenditori consentono proprio di misurare i risultati che l’attuale allestimento è in grado di di raggiungere, oltre a comprendere se sia proprio questo l’aspetto su cui lavorare necessarie per migliorare l’esperienza d’acquisto dei clienti e aumentare le vendite  in negozio.

Disuguaglianza, progresso e aziende: come ridurre le disparità?

Le disparità sociali non ostacolano solo il progresso di individui e singoli Paesi, ma anche delle aziende. In questo contesto è quindi indispensabile che imprese e governi promuovano una cultura dell’uguaglianza. Il sondaggio condotto da Ipsos ad aprile 2023, What Worries the World, rileva che oltre il 30% degli intervistati a livello globale identifica la disuguaglianza come una delle principali preoccupazioni, seconda soltanto all’inflazione.
Dalle discriminazioni di genere ed etniche alle disparità basate su orientamento sessuale, classe sociale, età, religione, disabilità, le disuguaglianze si manifestano in varie forme, incidendo non solo sull’accesso alle risorse e su un’iniqua distribuzione della ricchezza e del reddito, ma anche sui risultati finanziari delle aziende.

I brand possono fare la differenza

Esiste una chiara motivazione morale per affrontare la disuguaglianza, ma non si deve sottovalutare anche una forte motivazione reputazionale.
La maggioranza dei consumatori (59%) negli Stati Uniti, ad esempio, ritiene giusto che un brand o un’azienda comunichi la propria posizione nel combattere le disuguaglianze. In questo contesto, le aziende hanno un ruolo sempre più attivo, e molti sostengono che le imprese, più dei governi, abbiano l’opportunità di apportare cambiamenti significativi nella società. A essere più inclini verso questa linea sono soprattutto i giovani. Infatti, emerge un divario tra le generazioni, che evidenzia visioni contrastanti sull’uguaglianza.

Valori in evoluzione di cui le imprese devono tenere conto

Le generazioni più giovani sono più propense a vedere la disuguaglianza attraverso una lente identitaria, sottolineando le disparità razziali e di genere. Il crescente divario di aspettative tra i giovani e i loro predecessori richiede attenzione. Per colmare questo divario aziende e brand devono, quindi, allinearsi ai valori in evoluzione e riconoscere le prospettive uniche di ciascuna generazione.
In un’epoca in cui cresce l’attenzione verso le tematiche D&I e si sviluppano piano ESG, brand e aziende devono implementare nuove strategie di innovazione, sfruttare appieno il potenziale dei propri dipendenti e mostrare azioni positive che siano coerenti con i valori aziendali.

L’analisi dei dati è il primo passo per un cambiamento duraturo

Tra le strategie chiave che le organizzazioni possono mettere in atto per creare e promuovere un cambiamento duraturo rientrano anzitutto le misurazioni solide dei dati aziendali per identificare le disuguaglianze all’interno delle organizzazioni. Poi, occorre uniformare le opportunità di avanzamento, affrontare i pregiudizi inconsci nei processi di valutazione, e sviluppare interventi su misura fissando obiettivi chiari per colmare le lacune e promuovere una cultura dell’uguaglianza.
La disuguaglianza priva le organizzazioni del pensiero migliore e di approcci diversi alla soluzione dei problemi. L’obiettivo è garantire a tutti la possibilità di contribuire in base alle proprie capacità, sentirsi valutati in modo equo ed essere retribuiti di conseguenza.

Sostenibilità e bollette: gli italiani preferiscono il “solare” 

Per gli italiani la sostenibilità va a braccetto con la necessità di contenere i costi delle bollette, e tra chi è già in possesso di un impianto fotovoltaico (33,4%) tra le motivazioni che hanno spinto all’installazione, oltre alla sostenibilità e all’abbattimento dei costi, c’è anche il desiderio di indipendenza energetica (58,4%). La scelta dell’azienda a cui affidarsi è guidata dalla possibilità di usufruire di incentivi statali e detrazioni fiscali (77,9%), ma anche da poter delegare le questioni burocratiche e ingegneristiche (60,4%) e dalla qualità delle componenti (37,6%) affiancata dalla reputazione dell’azienda stessa (35,9%). Sono alcune evidenze emerse dalla survey condotta da Otovo, marketplace dedicato alla vendita online e installazione di pannelli fotovoltaici per il mercato residenziale. 

Chi ha già installato un impianto non si pente della scelta 

Se a fronte delle scelte compiute, e dell’attuale situazione relativa agli incentivi, il 72,5% degli intervistati ripeterebbe la propria scelta di installare un impianto fotovoltaico, chi ancora non è passato al solare non lo ha fatto soprattutto per l’incertezza della situazione relativa ai bonus statali (39,2%). Ma anche per la difficoltà nel trovare l’azienda giusta a cui affidarsi (33,3%) e per la mancanza di sopralluogo prima dell’installazione (17,2%). A queste motivazioni va aggiunta anche l’impossibilità, riscontrata in molti casi, di procedere con l’implementazione di pannelli solari a causa di vincoli paesaggistici (15%), elemento attualmente risolvibile da Otovo grazie alla rinnovata disponibilità nella gestione di pratiche sottoposte a questo vincolo. 

Senza il Superbonus il fotovoltaico è ancora più conveniente 

A differenza di quanto si possa pensare, la fine del Superbonus e dello sconto in fattura hanno permesso al fotovoltaico di diventare ancora più conveniente. Non dovendo più sostenere gli oneri verso la banca, il preventivo oggi non viene più rincarato dal costo della cessione. Inoltre, viene applicato lo sconto detraibile in 10 anni dell’effettivo 50% grazie alla detrazione fiscale. Come conseguenza, anche i prezzi dei fornitori si sono ridotti notevolmente, perché in precedenza erano ‘tarati’ su una domanda superiore. “In Italia siamo ancora indietro nell’implementazione dell’energia solare rispetto agli altri paesi europei, e questo è un peccato perché le ore di sole e la nostra posizione geografica ci offrono un grande potenziale di utilizzo – commenta Fabio Stefanini, Managing Director di Otovo Italia, Svizzera, Austria e Germania. 

L’attenzione all’ambiente resta forte anche tra chi non è ancora passato al solare 

“L’indagine che abbiamo svolto ha evidenziato anche come le potenzialità di un impianto solare non siano ancora ben comprese – continua Stefanini -, basti pensare che solo il 37% dei rispondenti ha indicato correttamente 4 o 5 anni come tempo di rientro dell’investimento, mentre il 61% ha scelto 10 anni, quasi il doppio”. Viene invece riservata grande attenzione all’ambiente, riporta Askanews, che resta una delle motivazioni principali anche per chi ancora non ha installato un impianto (49,5%). C’è infatti più consapevolezza per quanto riguarda l’impatto ambientale, dove il 64% degli intervistati ha indicato un risparmio di CO2 di 2.000kg l’anno.

Whatsapp e Facebook sono i social network più utilizzati dagli italiani

I social network sono ormai dei compagni fissi delle nostre vite. Ma quali sono quelli più utilizzati dagli italiani? A questa domanda, e ad altri dubbi ad essa collegati, risponde il Rapporto Italia 2023 recentemente presentato da Eurispes. Si scopre così che nel nostro Paese i social più usati sono WhatsApp (73,9%), Facebook (67,5%), Telegram (34,4%) e Twitter (25,9%). Per quanto riguarda le piattaforme di condivisione multimediale, YouTube è al primo posto (59,2%), seguito da Instagram (46,8%) e TikTok (26,5%). Il 23,2% degli italiani utilizza Linkedin, il social dedicato allo sfera professionale.   Pinterest (18,4%) e Snapchat (11,7%) sono meno popolari. Tinder, Meetic, Badoo e altri interessano il 10% dei partecipanti, mentre una quota analoga si collega a Onlyfans (9,7%).
Tra i motivi che spingono le persone a collegarsi ai social network,, ne emergono principalmente tre: trascorrere il tempo (23,5%), mantenere i contatti con gli amici (21,4%) e rimanere informati su argomenti ed eventi di interesse (18,1%).

Buona consapevolezza dei rischi associati all’uso dei social

È stata rilevata una buona consapevolezza dei rischi associati all’uso dei social network: il 69% ritiene che possano influire negativamente sulle interazioni sociali, il 66,6% solleva la questione della dipendenza digitale, il 68,8% sottolinea che i social contribuiscono alla diffusione delle fake news e il 66,3% li ritiene pericolosi per la privacy. Un altro problema preoccupante riguarda la navigazione in anonimato, che può incoraggiare comportamenti aggressivi, offensivi e intimidatori (66,9%). Infine, per gli italiani l’uso dei social: è utile per il lavoro (64%); favorisce atteggiamenti razzisti e discriminatori (63,4%); deve essere regolamentato e controllato maggiormente (56,2%); dovrebbe essere consentito solo ai maggiorenni (51%); stimola la creatività (47,8%). Per il 45,8%, invece, dovrebbe essere completamente libero e senza censure.

Il primo smartphone? Il più tardi possibile

Quando si tratta dell’età appropriata per ottenere uno smartphone, il 34,8% degli italiani è d’accordo sul fatto che i ragazzi dovrebbero riceverlo il più tardi possibile. Per il 22,6%, l’età adatta è compresa tra i 14 e i 15 anni, mentre il 16,6% pensa dai 16 anni in poi. 

Il device non si molla, neanche a tavola, a letto e… al volante 

L’indagine ha registrato un aumento dell’uso del telefonino a letto, al risveglio o prima di dormire (73,3% rispetto al 59,2% nel 2018). Anche l’uso del telefono durante i pasti è più diffuso oggi, sia quando si è soli (dal 58,2% nel 2018 al 64,4% nel 2023) sia quando si è in compagnia (dal 31,6% nel 2018 al 33,9% nel 2023). Inoltre, c’è un aumento delle persone che utilizzano il telefono quando sono fermi ai semafori (dal 30,6% al 32,7%) o alla guida (dal 23% al 28%). Molti continuano a usare il telefono mentre camminano (dal 54,3% nel 2018 al 55,1% nel 2023).

Cybersecurity: nel 2022 in Italia 28 mila incidenti di sicurezza 

Il 2023 Y-Report di Yarix l’anno scorso ha rilevato 28.493 incidenti di sicurezza di gravità media, alta e critica, con un incremento significativo nell’ultimo trimestre dell’anno. Una conseguenza delle numerose vulnerabilità critiche emerse sugli applicativi di largo consumo. Dei 175.045 eventi di sicurezza intercettati, Gdo (12%) e Moda (11%) hanno rappresentato i comparti più colpiti, insieme al sistema bancario e finanziario (10%) e all’Industria Chimica (9%). Il Manufacturing (23%), l’industria dei Servizi (14%) e il Food and Beverage (11%) sono invece risultati i settori più esposti a incidenti con un livello di gravità ‘alto’ o ‘critico’.

Italia bersaglio del ransomware

A livello globale, l’Italia rientra nella lista dei 5 Paesi più targettizzati da attacchi ransomware, preceduta solamente da Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Germania. L’Italia spicca quindi per l’incidenza di ransomware, uno dei maggiori fattori di rischio per la sicurezza delle aziende e del sistema Paese. Lockbit, insieme ad AlphV/BlackCat e Hive, resta tra i gruppi più attivi. Tra gli obiettivi privilegiati dei gruppi ransomware svettano le Strutture commerciali, davanti ai Servizi Finanziari, l’Industria Edile, il Legal & Business e il Retail & ingrosso.

In crescita complessità delle tecniche, tattiche e procedure utilizzate

Tra le novità dell’anno, Yarix segnala la nascita di 38 nuove ransomware gang costituite nel 2022, e sempre più abili nel non lasciare tracce, rendendo più complessa l’identificazione del punto d’ingresso degli attaccanti, e dunque della vulnerabilità. In crescita, inoltre, la complessità delle tecniche, tattiche e procedure (TTP) utilizzate. Guardando agli infostealer, software malevoli atti al furto di dati, l’Italia si posiziona nella top 20 mondiale, e al 5° posto a livello europeo per credenziali esfiltrate, preceduta da Polonia, Francia, Germania, Spagna.

I trend del 2022

Tra le tendenze che hanno caratterizzato le attività dei gruppi criminali nel 2022, Yarix evidenzia come alcuni gruppi ransomware abbiano bandito il settore sanitario dai loro obiettivi. Inoltre, numerose famiglie ransomware sono state aggiornate per rendere i gruppi ransomware ancora più aggressivi ed efficaci nel colpire le grandi aziende. E ancora, sono in aumento i servizi di tipo RaaS, e crescono gli affiliati ai gruppi criminali, oltre a crescere la tendenza di rendere note le chat tra i gruppi cyber criminali e le loro vittime, per aumentare la pressione durante il processo di negoziazione.
In crescita anche i programmi fedeltà dei gruppi criminali. Nel 2022 LockBit ha messo in palio 1 milione di dollari in cambio di segnalazioni su vulnerabilità, o semplicemente per ricevere idee su come migliorare il proprio business model.

Export agroalimentare italiano, è record

L’agroalimentare italiano può festeggiare un nuovo primato: nel 2022 le esportazioni hanno raggiunto i 61 miliardi di euro, con una crescita del 14,8% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, il saldo della bilancia commerciale è in deficit per 1,6 miliardi di euro, a causa della dinamica inflattiva. A dare queste notizie, in gran parte positive, è Ismea, sottolineando che l’anno passato ha visto una performance positiva per tutti i prodotti di punta del made in Italy.

I maggiori mercati del made in Italy

L’Unione Europea rimane il principale mercato di destinazione, con una quota del 57% delle esportazioni e un valore che raggiunge i 35 miliardi di euro. Germania, Stati Uniti e Francia rimangono i partner di maggior rilievo, con una quota complessiva del 37% e tassi di crescita a doppia cifra sul 2021. Da segnalare anche il forte incremento delle esportazioni verso Ungheria, Polonia e Repubblica ceca e – fuori dai confini comunitari – Regno Unito, con una ripresa sia in volume sia in valore delle principali voci dell’export alimentare nazionale. In controtendenza le spedizioni verso il Giappone, dove pesa la riduzione delle forniture di tabacchi lavorati, e verso la Russia, a causa dell’irrigidimento delle relazioni commerciali per via del conflitto in Ucraina. 

I prodotti più esportati

Si evidenzia una performance positiva per tutti i principali comparti e categorie, con le uniche eccezioni, tra i primi 20 prodotti esportati, di mele e uva da tavola. I vini in bottiglia raggiungono 5,2 miliardi di euro di export (+6,6%), grazie all’aumento dei prezzi che compensa largamente la riduzione dei volumi (-2,3%); le esportazioni in valore delle paste alimentari aumentano del 38,4% rispetto al 2021 e quelle dei vini spumanti del 19,4%; crescono in misura consistente anche le esportazioni di caffè torrefatto e di prodotti da forno.

Le importazioni in Italia provengono in gran parte dall’Ue

Le importazioni dall’Ue rappresentano il 69% del totale, con Francia, Spagna, Germania e Paesi Bassi come principali fornitori. Il valore del business è stimato in 43 miliardi di euro nel 2022. Il Brasile è al quinto posto, con un aumento del 50% delle importazioni.

Cosa accadrà nell’immediato futuro? 

Ismea organizzerà un webinair a fine aprile per esplorare e approfondire le possibili sfide globali del made in Italy agroalimentare. Nel corso dell’incontro, denominato ‘Le sfide globali del made in Italy agroalimentare’, verrà presentato il nuovo rapporto sull’internazionalizzazione con un’analisi della struttura e delle dinamiche di medio periodo degli scambi commerciali di cibi e bevande nelle diverse componenti merceologiche e destinazioni geografiche.Verrà proposto anche uno studio sulla performance competitiva nell’ultimo quinquennio.

Leadership femminile, modello vincente o ancora utopia?

L’indagine “Donne e mondo del lavoro” realizzata da SWG e commissionata da Amazon ha rilevato che per gli italiani la leadership femminile rappresenta un modello vincente, ma tra le donne lavoratrici, quasi una su due ritiene che nella propria azienda non ci siano uguali opportunità di carriera o equità di stipendio a parità di ruolo. La figura della donna viene associata al ruolo di caregiver familiare fin dalla fase dei colloqui di lavoro e alle ‘ragazze’ viene chiesto molto più spesso rispetto agli uomini se hanno o intendono avere dei figli.

In azienda ancora pochi servizi per le donne

Nonostante il 27% degli intervistati abbia dichiarato che la propria azienda stia valutando l’implementazione di nuovi servizi per ridurre il gender gap o introdurre dei servizi a favore della genitorialità e del caring, sono ancora poche le azioni poste in essere in questo senso. Solo il 23% delle aziende ha creato delle strutture che si occupano dell’inclusione delle donne e il 22% ha introdotto servizi di cura come nidi aziendali, convenzioni e baby-sitting. Il 38% degli intervistati occupati ha dichiarato che non sono presenti e non saranno attivate in futuro iniziative di formazione e crescita professionale destinati alle signore. Questi dati sono molto differenti nella visione che uomini e donne forniscono in merito ai servizi introdotti dalle aziende: infatti, mentre i primi appaiono molto più positivi nei loro giudizi, forse anche a causa di un livello di consapevolezza significativamente più basso, tra le donne le criticità emergono con una forza decisamente superiore.

Il comando al femminile è ritenuto più efficace

Tuttavia, nonostante questa disparità, il 65% delle donne e il 47% degli uomini intervistati ritengono che la leadership femminile sia più efficace. In particolare, i partecipanti al sondaggio riconoscono alle donne  doti fondamentali per il business quali empatia e gentilezza (78%), comunicazione efficace (67%), capacità di incentivare e stimolare il cambiamento (67%), maggiore attitudine al problem solving (66%), capacità di portare fiducia e positività all’interno del team (65%). Ci sono anche evidenze che molti intervistati preferirebbero avere una responsabile donna, ma solo il 25% di questi ha effettivamente una capa”.  

I nomi di riferimento dell’imprenditoria

Ai partecipanti all’indagine è stato infine chiesto chi riconoscono come proprio potenziale leader tra le imprenditrici italiane, riporta Ansa. Tre sono i nomi maggiormente espressi. Il 20% delle donne sceglierebbe Mariangela Marseglia, amministratore delegato di Amazon Italia, mentre tra gli uomini il primo gradino del podio è condiviso tra la presidente di Fininvest Marina Berlusconi (19%) ed Emma Marcegaglia, presidente e amministratore delegato del Gruppo Marcegaglia Holding S.p.A (19%).

Mobilità urbana, addio all’auto se i mezzi pubblici funzionano

Abbandonare la macchina per spostarsi in città con i mezzi pubblici è una scelta percorribile? Sì, a patto che ci siano alcune condizioni essenziali. Il sondaggio Ipsos-Legambiente ‘Tipi mobili nelle città italiane’ ha infatti rivelato che un cittadino su quattro è disposto ad abbandonare l’auto privata a favore dei mezzi pubblici, ma solo se questi sono convenienti e puntuali. L’indagine ha analizzato le abitudini di mobilità su scala nazionale, con un focus sulle grandi città italiane di Roma, Napoli, Firenze, Milano e Torino. I risultati mostrano una grande varietà di comportamenti di mobilità tra gli italiani, che richiedono risposte diverse. Ad esempio, il 23% del campione nazionale è rappresentato dagli ‘aperti al pubblico’, ovvero coloro che preferiscono i mezzi pubblici e condivisi, ma solo se i servizi sono potenziati e i costi ridotti.

Anche a piedi o in bicicletta

Il sondaggio ha rivelato anche che il 19% degli italiani preferisce camminare o andare in bicicletta perché conviene, ed è disposto a rinunciare completamente all’auto di proprietà a favore di servizi di sharing più sicuri e potenziati. Questo gruppo è cresciuto dopo il lockdown, soprattutto nelle grandi città come Roma e Torino. Al contrario, tra coloro che si muovono spesso nelle periferie e nei piccoli centri, prevale il gruppo degli ‘Irriducibili individualisti – mai fermi ma incollati al volante’ (14% del campione).

Il trasporto pubblico italiano è al di sotto della media europea

Secondo Andrea Poggio, responsabile mobilità di Legambiente, i dati emersi dalla campagna e dal sondaggio dimostrano che i cittadini sono disposti a cambiare il loro modo di muoversi, ma il trasporto pubblico in Italia è al di sotto della media europea. Per rendere le città più sostenibili e inclusive, occorre adottare politiche che rendano i quartieri e le città più accessibili in bici e con mezzi elettrici condivisi, anche attraverso l’adozione di nudge policies (o spinte gentili) come incentivi economici, abbonamenti e miglioramenti dei servizi. “Queste misure devono andare di pari passo, poiché l’esperienza di tutte le città del mondo dimostra che senza l’una, l’altra non può funzionare” conclude Poggio.

Gli interventi a favore della mobilità green

Legambiente sostiene che per trasformare le città italiane in vere ‘clean cities’, occorre disegnare percorsi prioritari ciclo-pedonali, incrementare i mezzi pubblici, creare zone scolastiche, aumentare i servizi e le infrastrutture di mobilità elettrica e condivisa, progettare zone cittadine a ‘zero emissioni’, anche per la distribuzione delle merci.

Conoscere poco la rete mette a rischio le iniziative di trasformazione digitale

Se un leader aziendale su quattro (25%) ammette di avere solo una conoscenza funzionale o limitata della rete aziendale, l’81% degli stessi dirigenti afferma che la propria organizzazione avrebbe bisogno di alti livelli di innovazione per avere successo nel corso del 2023. Di fatto, la pressione per la digitalizzazione non è mai stata così alta, ma il 73% dei dirigenti è preoccupato della capacità della propria organizzazione di tenere il passo con i requisiti tecnologici e digitali più recenti. Sono alcune evidenze emerse dal sondaggio pubblicato da Aruba, società di Hewlett Packard Enterprise, condotto su 200 leader aziendali internazionali per valutarne il grado di consapevolezza ‘digitale’.

La rete come strumento di produttività e innovazione

I manager d’azienda concordano sul fatto che la tecnologia e la digitalizzazione avanzata ora siano essenziali per consentire ai dipendenti di svolgere il proprio lavoro (71%). Tuttavia, nonostante il suo ruolo di collegamento tra i dipendenti e la tecnologia di cui hanno bisogno, solo il 61% afferma di comprendere appieno la relazione tra rete e produttività dei dipendenti. Allo stesso modo, il 53% ha dichiarato di non capire appieno come la rete possa aiutare a guidare l’innovazione, nonostante il 50% ritenga che l’accesso ai dati sia fondamentale per sbloccare nuovi flussi di entrate nei prossimi 12 mesi.

Emergono le contraddizioni

Le potenziali conseguenze di queste contraddizioni emergono considerando le strategie di investimento delle organizzazioni per l’anno in corso. Mentre il 50% dei leader aziendali afferma di voler aumentare nel 2023 la spesa per le iniziative digitali, solo il 25% afferma che effettuerà un investimento corrispondente nella propria infrastruttura di rete. A fronte di una quota significativa di intervistati (59%) che afferma che i propri dipendenti hanno sperimentato problemi di connettività sul posto di lavoro, solo il 29% ritiene che la propria organizzazione sia in grado di garantire un connettività continua, e solo il 21% è d’accordo sul fatto che la propria organizzazione abbia la flessibilità necessaria.

Serve una rete innovativa, agile e ottimizzata

“Le organizzazioni di tutto il mondo hanno grandi progetti per le loro trasformazioni digitali quest’anno – afferma Larry Lunetta, Vice President Portfolio Solutions Marketing di Aruba -. Vogliono aumentare la produttività dei dipendenti attraverso il lavoro ibrido, fornire una migliore analisi dei dati per sviluppare nuovi flussi di entrate, generare maggiore efficienza operativa per risparmiare sui costi, ridurre il consumo di energia per diventare più sostenibili e molto altro ancora. Le aziende sanno che devono continuare a investire nella tecnologia per rendere tutto ciò possibile. Ma per raggiungere gli obiettivi di business hanno bisogno del supporto di una rete innovativa, agile e ottimizzata. Solo così le probabilità di una trasformazione digitale di successo aumenteranno”.

E-anxiety: lo stress da email che nuoce alla salute mentale

Lo stress da email esiste e ha un nome: e-anxiety. “Se il lavoro è l’ultima cosa a cui qualcuno pensa prima di andare a dormire, probabilmente c’è qualcosa che non va”, commenta William Becker, professore alla Virginia Tech University e coautore dello studio che ha esaminato l’effetto delle e-mail ‘di lavoro’ sul benessere delle persone. Lo studio rivela che lo stress generato dalle e-mail “colpisce psicologicamente i dipendenti e le persone a loro vicine”, riporta il Paìs. I ricercatori hanno intervistato più di 400 dipendenti in diversi settori lavorativi, confermando che un controllo eccessivo della posta elettronica durante le ore non lavorative è dannoso per il benessere e le relazioni, e costituisce una sorta di allarme rosso per la salute psicologica.

Anche solo pensarci è in sé dannoso

“Ma anche solo pensarci è in sé dannoso – spiega Becker -: vedere il proprio capo controllare sempre la posta elettronica, sapendo che poi la invierà nel fine settimana o di notte, crea aspettativa. Quindi, non importa quale sia la politica aziendale o la legge – aggiunge il ricercatore -, se senti la pressione del tuo capo, questa avrà la precedenza su tutto il resto”,
L’effetto negativo di tutto ciò si trasmette inevitabilmente al partner o ai figli, in quanto l’interessato “non riesce a liberarsi completamente dal lavoro”, sottolinea Becker. E ciò accade più frequentemente durante il tempo libero o mentre si stanno svolgendo impegni personali o familiari.
Insomma, si tratta di “interruzioni o distrazioni che aumentano nel dipendente conflitto e sensazione d’ansia”, e che si riverberano sull’ambiente circostante.

Imparare a distinguere tra “urgente” e “importante”   

C’è un rimedio? Gli esperti concordano sul fatto che la velocità delle risposte sul lavoro fa parte della ‘cultura dell’immediatezza’ dei nostri tempi, e secondo gli autori dello studio il rimedio consiste in questo: “La percezione dell’urgenza non è necessariamente reale e può esser regolata”. Quindi, è necessario imparare a distinguere tra ‘urgente’ e ‘importante’ e stabilire atteggiamenti che modulino il comportamento, “come scegliere razionalmente il momento della risposta, dosare l’accesso alle applicazioni e analizzare domanda e aspettative”, suggeriscono i ricercatori.

Aumenta l’invalidità temporanea dovuta a disturbi mentali e comportamentali

Un rapporto elaborato dalla società Fremap, che ha analizzato 380.000 assenze per malattia su un campione di 3 milioni di persone, mostra che tra il 2015 e il 2021 l’incidenza media dei processi di invalidità temporanea dovuta a disturbi mentali e comportamentali (Tmc) è aumentata del 17% per tutte le fasce di età. Nel 2021, se si ignora l’impatto del Covid-19, le malattie mentali sono poi state la causa della richiesta del 15% dei giorni di riposo, la seconda causa più rappresentativa dopo i disturbi muscolo-scheletrici. Tutto ciò, riporta AGI, oltre agli effetti sulle persone, pesa anche sui conti delle aziende. I processi di invalidità temporanea, sempre secondo lo studio, hanno infatti causato in Spagna “un costo medio salariale e contributivo di 2.053,36 euro a congedo nel 2021”.