Quiet Quitting, cosa sono le dimissioni “lente” che mettono le aziende in difficoltà?

Rispetto al primo semestre 2021 le dimissioni sono cresciute del 31,73%, in parallelo a un incremento del 26% di assunzioni. Gli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio sul Precariato dell’Inps mostrano che in Italia nel primo semestre 2022 oltre 1 milione di persone ha deciso di rassegnare le dimissioni dal posto di lavoro. Il fenomeno delle Grandi dimissioni continua quindi a essere centrale a livello nazionale, ma a livello internazionale sembra che stia lasciando spazio a un nuovo trend, il Quiet Quitting. Quiet Quitting significa “lasciare lentamente”. Ovvero, mollare la presa sul lavoro, limitandosi a fare lo stretto necessario.

La carriera lavorativa non è più una priorità?

Trascorsa l’onda più drastica della consegna delle dimissioni, ora molti lavoratori scelgono una via più lenta, senza tagli netti. 
“Il fenomeno del Quiet Quitting, seppur possa sembrare meno impattante rispetto a quello delle dimissioni di massa, non deve e non può essere trascurato dalle aziende – spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati -. Le persone che scelgono in modo razionale e sì, strategico, di mettere paletti chiari alla propria vita lavorativa iniziano con evitare il lavoro extra, gli straordinari, la reperibilità, smettendo del tutto di considerare la propria carriera lavorativa come una priorità. E questo, in uno scenario in cui fin troppo spesso le aziende contano proprio sugli extra, e sullo sforzo in più da parte dei dipendenti per raggiungere gli obiettivi prefissati, può ovviamente diventare un problema considerevole”.

L’engagement dei dipendenti è stagnante o in flessione

Al di là dei social network, dove l’hashtag #quietquitting continua a guadagnare popolarità, la concretezza del fenomeno è testimoniata dal report State of the global workplace 2022 di Gallup.
Lo studio dice che se prima della pandemia l’engagement dei dipendenti nei confronti delle aziende fosse in continuo aumento a livello globale, oggi è invece stagnante o in flessione. Guardando ai numeri attuali, solamente il 21% dei dipendenti afferma di essere coinvolto dal proprio lavoro, un dato che in Europa scende al 14%.

Puntare su dialogo e rapporto empatico con i dipendenti

“I numeri mostrano che il fenomeno del Quiet Quitting riguarda soprattutto i lavoratori delle generazioni Millennial e Z, ovvero la forza lavoro nata a partire dagli anni Ottanta, che rappresenta la parte più produttiva e più importante per lo sviluppo delle aziende – spiega l’esperta -. Se per evitare le dimissioni dei dipendenti le aziende sono chiamate a investire nella formazione degli assunti, a introdurre benefit e ad ascoltare le esigenze dei dipendenti, nel caso del Quiet Quitting l’attenzione va posta soprattutto sul dialogo, e sulla costruzione di un rapporto autentico ed empatico tra manager e membri del proprio team. Questo, perché un ambiente di lavoro sano e trasparente permette di ridurre il turnover e aumentare la propensione alla produttività”.

Fiducia dei consumatori e delle imprese, giù tutti gli indicatori

La fine delle vacanze, e il mese di settembre in particolare, coincidono con un drastico calo del clima di fiducia da parte sia dei consumatori sia delle imprese. A decretarlo è l’ultima rilevazione dell’Istat, che segnala come nel nono mese dell’anno il sentiment di fiducia dei consumatori sia passato da 98,3 a 94,8 mentre l’indice composito del clima di fiducia delle imprese da 109,2 a 105,2.

Per i consumatori peggioramento per quasi tutte le variabili 

In riferimento alle singole serie componenti l’indice di fiducia dei consumatori, si stima un peggioramento di tutte le variabili ad eccezione dei giudizi sulla situazione economica familiare e delle opinioni relative al risparmio. Coerentemente, anche i quattro indicatori calcolati mensilmente a partire dalle stesse componenti presentano un’evoluzione negativa: il clima economico e futuro registrano i cali più accentuati passando, rispettivamente, da 92,9 a 81,3 e da 96,4 a 91,8; il clima personale e quello corrente si riducono moderatamente (rispettivamente da 100,2 a 99,3 e da 99,7 a 96,9).
“L’indice di fiducia dei consumatori, dopo il rimbalzo di agosto, diminuisce nuovamente posizionandosi sullo stesso livello dello scorso luglio. Si rileva un deciso peggioramento soprattutto delle opinioni sulla situazione economica generale e delle aspettative sulla disoccupazione” è il commento dell’Istituto di Statistica.

Per le imprese, pessimismo nella maggior parte dei comparti

Con riferimento alle imprese, la fiducia è in peggioramento in tutti i comparti indagati ad eccezione delle costruzioni dove l’indice sale da 155,8 a 159,5. Più in dettaglio, nel settore manifatturiero e nel commercio al dettaglio l’indice cala, rispettivamente, da 104,0 a 101,3 e da 113,4 a 110,6; nei servizi di mercato la diminuzione è più spiccata con l’indice che si riduce da 103,0 a 95,9. Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nelle costruzioni tutte le variabili sono in miglioramento. Invece, nella manifattura peggiorano sia i giudizi sugli ordini sia le aspettative sul livello della produzione; le scorte sono giudicate in lieve decumulo. In relazione ai servizi di mercato, tutte le componenti registrano una dinamica negativa mentre nel commercio al dettaglio peggiorano i giudizi e le attese sulle vendite e le scorte sono giudicate in diminuzione.

Il valore più basso da aprile 2021

A sottolineare questo sentiment negativo è anche il commento dell’Istat. “A settembre l’indice di fiducia delle imprese diminuisce per il terzo mese consecutivo raggiungendo il valore più basso da aprile 2021. L’andamento dell’indice complessivo è determinato dall’evoluzione negativa della fiducia nella manifattura, nei servizi (in entrambi i comparti l’indice è in calo per il terzo mese consecutivo e raggiunge un minimo, rispettivamente, da febbraio 2021 e da gennaio 2022) e nel commercio al dettaglio”.

Moda etica e aziende: una percezione sbagliata dell’impegno green

Fare la raccolta differenziata e cambiare packaging non è più sufficiente: sono misure, che se non associate ad altri cambiamenti, hanno poco peso sull’impatto ambientale e sociale complessivo. Anche nel settore della moda. Se infatti da un lato aumentano le aziende che investono in scelte green, dall’altro nel 2022 diminuiscono del -15,2% quelle che si trovano a un livello avanzato di sostenibilità. Ma quali sono le pratiche rilevanti in ambito sostenibilità per un brand di moda? Lo spiega Cikis nel suo Report Moda e Sostenibilità 2022, che raccoglie insight qualitativi e dati strutturati di 48 brand e 47 aziende della filiera italiana con fatturato superiore a 1 milione di euro.

Le pratiche rilevanti

Inizia a emergere una parziale consapevolezza sull’importanza della scelta dei materiali: il 48% delle aziende dichiara di aver introdotto o incrementato l’utilizzo di materiali a ridotto impatto ambientale o che tutelano i diritti sociali, ma solo il 16,8% li ha integrati per più del 75% sulla collezione totale, e il 47,4% li ha introdotti per meno del 25%.
Ancora poco sentita poi è l’importanza dell’economia circolare, citata come priorità solo dal 7,4% delle aziende, e pochissime (2%) investono in compensazione delle emissioni. Se però si parla di tutela dei lavoratori e welfare aziendale la sensibilità è in aumento. Gli investimenti in ambito sociale salgono al 40% (+66,7% rispetto al 2021).

Rischio greenwashing in aumento

Il 60% delle aziende però ha una percezione sbagliata del proprio livello di sostenibilità, e il 22,1% si sopravvaluta. Se l’autovalutazione media delle aziende di livello base sul proprio operato green nel 2021 si attestava a 4,5 punti su 10, quest’anno è salita a 6 su 10. Per queste aziende c’è un alto rischio greenwashing, dovuto appunto alla sopravvalutazione della rilevanza delle pratiche implementate. Un esempio virtuoso è invece rappresentato dalle grandi aziende, che registrano una maggiore percentuale di pratiche rilevanti per via di maggiori disponibilità finanziarie e filiere molto più complesse. In queste aziende infatti è presente un team dedicato alla transizione sostenibile, in grado di gestire un numero maggiore di pratiche sostenibili e con maggiore efficacia.

Investire in sostenibilità conviene

Il 63% delle aziende dichiara che le scelte green sono state un investimento che ha generato un ritorno positivo. Di queste, il 59% ha ottenuto il ritorno economico entro tre anni dall’implementazione delle nuove norme. La percentuale di aziende che dichiara un ritorno positivo aumenta drasticamente fra quelle che hanno scelto di rivolgersi a esperti e consulenti di sostenibilità: avere accesso a competenze esterne permette di ottenere con maggiore probabilità benefici economici, o di immagine, che superano l’investimento effettuato. L’81% delle aziende che si sono affidate a consulenti esterni ha infatti ottenuto un ritorno positivo dell’investimento, riuscendo anche a raggiungere alti livelli di sostenibilità con maggiore facilità. Ma solo il 16,3% delle aziende che si affida a consulenti specializzati si trova a un livello base.

Prezzi alle stelle, e gli italiani “tagliano” la spesa

Il 51% degli italiani, poco più di uno su due, oggi è costretto a tagliare la spesa nel carrello, mentre un altro 18% sai orienta verso prodotti low cost per arrivare a fine mese, riducendo la qualità degli acquisti. L’aumento record dei prezzi a causa dei rincari energetici e gli effetti della guerra in Ucraina stanno riducendo il potere d’acquisto dei cittadini, anche se c’è un 31% che per ora non ha modificato le abitudini di spesa. È quanto emerge dai risultati dell’indagine condotta sul sito coldiretti.it.

Nel 2022 acquisti di frutta e verdura crollati dell’11%
La situazione varia da prodotto a prodotto. Ad esempio, gli italiani hanno tagliato gli acquisti di frutta e verdura, crollati nel 2022 dell’11%, scendendo a 2,6 milioni di tonnellate (dati Cso Italy/Gfk Italia I semestre). Un taglio destinato nel tempo ad avere un impatto anche sulla salute, se si considera che la soglia minima di frutta e verdure fresche da mangiare al giorno, raccomandata dall’Oms per una dieta sana è di 400 grammi. Dall’analisi Coldiretti sui dati Istat relativi al commercio al dettaglio nel primo semestre 2022, risulta però che gli italiani hanno speso per i prodotti alimentari il 3,1% in più, per acquistare una quantità ridotta del 3%. Ulteriore evidenza è un vero boom dei discount alimentari, che mettono a segno un aumento delle vendite del +9%.

Un impatto devastante dal campo alla tavola
Ma a rischio alimentare ci sono soprattutto gli oltre 2,6 milioni di persone che in Italia sono costrette a chiedere aiuto per mangiare con i pacchi dono o nelle mense di carità. È la punta dell’iceberg delle difficoltà in cui rischia di trovarsi un numero sempre più crescente di famiglie. L’esplosione di costi ha poi un impatto devastante dal campo alla tavola, in un momento in cui prima la siccità e poi il maltempo ha devastato i raccolti, con perdite stimate a 6 miliardi di euro (il 10% della produzione nelle campagne), dove più di 1 azienda agricola su 10 (13%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività, e secondo il Crea oltre 1/3 del totale nazionale (34%) si trova costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dei rincari.

Aumenti dei costi per tutta la filiera agroalimentare
In agricoltura si registrano infatti aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio. Ma gli aumenti riguardano l’intera filiera alimentare: il vetro costa oltre il 30% in più rispetto allo scorso anno, il tetrapack +15%, le etichette +35% eccetera. Una situazione, quindi, destinata a esplodere in autunno, colpendo una filiera agroalimentare da 575 miliardi di euro, quasi un quarto del Pil nazionale, che vede impegnati 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio.

Trasformazione digitale: gli imprenditori e gli investimenti delle aziende

La transizione digitale genera valore di natura finanziaria, ma anche sociale sia per l’organizzazione sia per gli utenti. La spinta verso la transizione digitale del Paese e dell’ecosistema produttivo ha visto una netta accelerazione negli ultimi due anni. E secondo il 50% degli imprenditori intervistati dalla survey di EY Tech Horizon le aziende italiane hanno avviato importanti trasformazioni digitali. Tra i fattori della trasformazione, sempre secondo EY Tech Horizon, quelli principali risultano l’adozione o il consolidamento di nuove tecnologie quali data&analytics, machine learning, Intelligenza artificiale, Internet of Things (IoT) e cloud.

Le imprese italiane saranno sempre più data-centriche

Le imprese italiane, quindi, saranno sempre più data-centriche e digitali per poter programmare al meglio le decisioni, i processi e le interazioni con tutti gli interlocutori. La tecnologia è il fattore abilitante per una trasformazione in grado di creare valore, ma soltanto se utilizzata in una combinazione sinergica di diversi strumenti, e allineata agli obiettivi strategici delle aziende. Tra le tecnologie su cui puntare, data&analytics viene indicata dal 22% degli intervistati come principale trend di investimento per i prossimi due anni. Seguono, l’Internet of Things, indicato dal 20%, il cloud, dal 18%, l’Intelligenza artificiale e il machine learning dal 15%.

Gli ostacoli principali? I costi elevati delle infrastrutture e la sicurezza 

Gli ostacoli principali al proseguimento di questa trasformazione per gli imprenditori riguardano i costi elevati delle infrastrutture e i rischi legati alla cybersecurity. I fattori trainanti per superare queste barriere sono le partnership strategiche con expertise tecnologiche complementari, e l’upskilling delle competenze. La combinazione tra tecnologie diverse, in particolare data analytics e Intelligenza artificiale, è indicata dal 45% degli intervistati, anche come fattore chiave per migliorare la customer experience. Questa maggiore apertura verso le nuove tecnologie è emblematica della fase di accelerazione in innovazione digitale in cui si trova il nostro Paese, anche grazie alla spinta rappresentata dalle risorse stanziate dal Pnrr.

Dove investire? Upskilling/reskilling, data analytics, cloud, IoT, cybersecurity

Per contro, le maggiori criticità emerse nei confronti del ruolo della trasformazione dei dati riguardano per il 15% la difficoltà alla scalabilità di prodotti e servizi data-driven, e per l’11% la carenza di competenze dei dipendenti. Per questo motivo, le aziende sono sempre più impegnate nel valutare i gap di competenze per comprendere dove investire e offrire programmi di formazione obbligatoria, upskilling e reskilling per rafforzare le competenze digitali e tecnologiche. In particolare, dando priorità a tematiche come data analytics, cloudification, IoT, cybersecurity e privacy.

Pharma delivery: +118% ordini rispetto al primo semestre 2021

Oggi la consegna a domicilio dei farmaci è un’abitudine consolidata tra gli italiani, e sono pochi i consumatori disposti a rinunciare. La pandemia ha avuto un effetto booster sull’home delivery, e il servizio di pharma delivery è divenuto fondamentale per 9 utenti su 10. Sono alcuni dati emersi da un’indagine effettuata a dicembre 2021 da Pharmap, player italiano del settore, per indagare il comportamento dei consumatori iscritti alla piattaforma. Per il 93% degli iscritti oggi risulta importante che le farmacie siano dotate di un sistema di consegna a domicilio, e per il 98% il recapito in giornata dei prodotti è un requisito essenziale per la fidelizzazione con il punto vendita.

Incrementare il rapporto di fiducia con i clienti

La rilevazione conferma quindi un trend in continua evoluzione, ed evidenzia alcune novità. La prima riguarda la capacità di Pharmap di incrementare il rapporto di fiducia tra farmacia e utenza: oltre il 60% degli intervistati dichiara di ordinare sempre dalla stessa farmacia, e di questi più della metà (51,9%) è diventato un cliente abituale.  L’azienda, inoltre, gioca un ruolo chiave nel fidelizzare i consumer: il 44% degli utenti intervistati si dichiara, infatti, fedele alla farmacia di riferimento da quando offre il servizio di delivery.

Una comodità divenuta irrinunciabile dopo la pandemia

L’altro dato che emerge è la crescita dell’utilizzo dell’home delivery farmaceutico da parte delle persone. Il 77,7% dichiara di ricorrervi più spesso in epoca post-pandemica perché si è ormai abituato alla comodità del servizio (47%) o per la possibilità di ricevere a domicilio anche i farmaci con ricetta (32%). Il servizio è anche apprezzato in tutti quei casi in cui, recandosi di persona in farmacia, il prodotto non risulti immediatamente disponibile (situazione che si verifica nel 40% dei casi). Un cliente su 4 si dichiara infatti poco propenso a ritornare sul punto vendita per ritirare il prodotto prenotato e preferirebbe, piuttosto, riceverlo a casa.

Un servizio sempre più strategico per le farmacie

 “Che il servizio di consegna a domicilio del farmaco sia diventato sempre più strategico per le farmacie non lo confermano solo i nostri dati – dichiara Giuseppe Mineo, ceo di Pharmap, ad Askanews. -. Una recente ricerca di Channel&Retail Lab, l’Osservatorio della Sda Bocconi, ha rilevato che un cliente su due è pronto a cambiare esercizio se la sua farmacia di fiducia non dispone del servizio di home delivery. Le farmacie, che con la pandemia hanno accelerato la loro evoluzione in ‘farmacie dei servizi’, non possono quindi più fare a meno di adeguarsi a questo trend per rispondere alle nuove esigenze di salute dei cittadini”.

L’e-commerce si evolve e diventa social shopping

Gli acquisti on line sono diventati una costante delle nostre vite. Grazie anche al nuovo impulso dovuto alla pandemia e alle sue limitazioni, molti italiani hanno scoperto questa modalità per comprare ciò di cui si ha bisogno, senza muoversi fisicamente da casa. Ma, una volta assodato che l’e-commerce fa parte delle nostre abitudini, come si può sviluppare il mezzo per aumentare sempre di più Poi ed engagement degli utenti? Una risposta arriva da Nielsen IQ, che ha pubblicato sul proprio sito un’analisi del futuro che ci aspetta.

L’esempio dei mercati trend setter

Per prevedere il domani, la società di ricerche ha esaminato i comportamenti dei paesi trend setter, quelli tecnologicamente più avanzati e che tradizionalmente danno l’esempio al resto del mondo. Si scopre così che gli shopper mobile-first stanno guidando l’m-commerce e guadagnando terreno in tutta l’Asia. In Corea del Sud, ad esempio, l’82% degli acquirenti online ha utilizzato il proprio dispositivo mobile per la spesa. L’m-commerce si dimostra un canale rilevante anche in Brasile, con un numero di ordini effettuati che ammonta a 56,3 milioni nel primo semestre del 2021.
Le applicazioni mobili alimentano il commercio digitale. Le cosiddette super app hanno iniziato ad acquisire importanza nel sud-est asiatico in quanto offrono ai consumatori un servizio unico, integrando tutti gli aspetti della vita virtuale dei consumatori con molteplici servizi come social networking, consegna di cibo, prenotazione di ristoranti, pagamenti e giochi. Oggi, le super app di e-commerce possono avere circa 1-1,5 milioni di articoli rispetto ai 75-90K articoli in negozio. Grazie a una user experience intuitiva, le super-app offrono una soluzione per le sfide di oggi: navigare tra i diversi bisogni dei consumatori e tenerli impegnati. 

Gli acquisti attraverso i social aumentano del 60%

Gli acquisti attraverso i social network sono in aumento, con il 60% dei consumatori online che ha riferito di aver effettuato almeno un acquisto tramite una piattaforma social nel 2020.
Il social commerce include non solo le transazioni che i consumatori effettuano attraverso i social network, ma i molti nuovi modi in cui le aziende combinano lo shopping online basato sul valore con l’intrattenimento sociale. Gli e-market sviluppati come la Cina stanno sfruttando il social commerce per estendere il coinvolgimento degli shopper facendo affidamento sul potere del senso di comunità.  Anche l’e-commerce in livestreaming sta vivendo una crescita esponenziale in Cina, attirando ora 265 milioni di utenti, che rappresentano quasi il 50% degli utenti di livestreaming. Gli e-player tentano di influenzare i consumatori con strumenti come offerte di gruppo crowd-sourced, offerte dirette al consumatore e scambio sui social media per promuovere le relazioni con il brand.  
Catturare l’attenzione degli acquirenti online e mantenerli impegnati e fedeli è possibile, anche se potrebbe richiedere un po ‘di creatività. Sfruttare i social network e gli strumenti di intrattenimento attirerà sicuramente nuovi acquirenti; il senso di comunità e di engagement, inoltre, hanno un grande potenziale per incoraggiare gli acquisti. Gli e-player tentano di influenzare i consumatori con strumenti come offerte di gruppo crowd-sourced, offerte dirette al consumatore e scambio sui social media per promuovere le relazioni con il brand.  

Turismo in ripresa: flussi positivi e boom per le isole

“La ripresa c’è – spiega all’Adnkronos Vittorio Messina, presidente di Assoturismo Confesercenti -. Abbiamo ripreso a vedere flussi turistici significativi dal ponte di Pasqua, con numeri che ci hanno fatto ben sperare per la stagione estiva”.
Le previsioni estive per quest’anno sono quindi positive, con un boom per le isole, ma, avverte Messina, “cinque o sei settimane di overbooking non consentono di poter recuperare i costi e le perdite che la filiera ha subito nei 25 mesi di pandemia”.
In ogni caso, “la nostra speranza è il mese di settembre – sottolinea Messina -, quando ci sarà un vero banco di prova, perché se i flussi turistici dovessero confermarsi, allora vorrà dire che avremo veramente imboccato la strada della ripresa”. 

Ripresa delle presenze in Sardegna, Sicilia e nelle isole minori

Le isole sembrano essere una delle mete più interessanti. “È qualcosa che avevamo cominciato a notare prima del Covid, nell’estate del 2019 – conferma Messina -. Durante la pandemia, con il turismo di prossimità, gli italiani hanno riscoperto il piacere delle isole e questo è un segnale importantissimo. C’è una ripresa delle presenze in Sardegna e in Sicilia, ma anche nelle isole minori”.
A fare la parte del leone sono anche le isole straniere. “Siamo completamente sold out anche e soprattutto per le mete a lungo raggio – commenta Marco Ferrini, responsabile commerciale booking della rete consulenti Cartorange -. Non si trova più niente in Polinesia francese, Zanzibar o alle Maldive, dove siamo fuori stagione, eppure a luglio e ad agosto sono strapiene, così come le Mauritius e le Seychelles”. E per quanto riguarda il Mediterraneo, le Baleari, Minorca, Maiorca e le isole della Grecia.

Gli operatori del settore sono ottimisti

Anche gli operatori del settore sono ottimisti, Guardando ai mesi passati, “marzo, aprile, maggio e giugno hanno raggiunto i livelli pre-Covid, con maggio e giugno che li hanno superati – continua Ferrini -. Il trend delle prenotazioni è molto alto. C’è una voglia di viaggiare che oserei dire quasi irrazionale. Una voglia che si scontra anche con richieste che non sono realizzabili. Richieste, ad esempio, per destinazioni in cui il clima non è l’ideale in questo momento”.

Torna il last minute, e la domanda supera l’offerta

In questo scenario, spiega però Ferrini, “c’è però un turismo spezzato a metà: tantissime persone stanno facendo la corsa a prenotare, ma ce e sono molte che prenoteranno sotto data. È tornato il last minute, con richieste a luglio di partenze per luglio e ci aspettiamo lo stesso ad agosto. La sensazione è che il turismo non fosse pronto a questi numeri, è come se si fosse formato un collo di bottiglia, con una domanda che sta superando l’offerta ed è la prima volta nella storia del settore – aggiunge Ferrini -. Per tornare a soddisfare completamente la domanda dovremo aspettare anche tutto il 2024”.

Estate 2022: l’85% farà le vacanze in Italia

Quest’estate la maggior parte degli italiani che andranno in vacanza trascorreranno le ferie in Italia, in cerca di relax, contatto con la natura, ed esperienze enogastronomiche che consentano la scoperta delle tradizioni locali. Sono più di 28 milioni gli italiani che prevedono di fare almeno una vacanza durante l’estate, ma solo un terzo ha già prenotato. Per l’85% di italiani che sceglierà l’Italia, le mete più gettonate sono Puglia (13%), Sicilia (10%) e Toscana (9%). Una percentuale più ridotta (12%) si orienterà verso destinazioni Europee, soprattutto Spagna, Grecia e Francia, e solo il 3% viaggerà verso Paesi extra-UE. Sono i trend emersi dall’Osservatorio Turismo 2022 di Nomisma-UniCredit, che dal confronto tra l’estate 2021 e l’estate 2022 fa emergere una polarizzazione: se più di un quarto dei viaggiatori ha intenzione di aumentare frequenza dei viaggi (29%), durata (24%) e spesa per il pernottamento (24%), uno su 6 pensa che ridurrà il numero di viaggi, così come costi e durata. 

Tra relax, contatto con la natura e scoperta delle tradizioni enogastronomiche

Chi nel 2022 non partirà lo farà soprattutto a causa di una situazione economica non favorevole (49%), per risparmiare (12%), per timore di possibili contagi (11%), ma anche perché ha intenzione di sostituire il viaggio con gite ed escursioni di una giornata (9%). In ogni caso, gli italiani associano la vacanza soprattutto all’idea di relax (76%) o all’occasione per stare più a contatto con la natura (48%). In particolare, il 13% la considera un’opportunità per praticare sport e attività fisica e l’11% per vivere esperienze avventurose. La vacanza però è anche sinonimo di scoperta dell’enogastronomia (39%) e delle tradizioni locali (21%).

Costi energetici e inflazione preoccupano gli operatori

Come stanno vivendo gli operatori del settore l’attuale congiuntura politica, economica e sanitaria? Il 64% dichiara che questa situazione complica l’operatività delle strutture ricettive. I problemi maggiori sono provocati dall’incremento dei costi energetici (51%) e dall’inflazione (23%). In merito all’offerta, il 67% aumenterà i prezzi delle camere, il 44% quelli dei servizi, e il 28% ritiene inevitabile ridurre i mesi di apertura. Per il 54% la congiuntura attuale determinerà una minore capacità di spesa da parte dei viaggiatori, che comporterà la necessità di rivedere i prezzi di listino (34%). Il 33% pensa che si verificherà una diminuzione dei tempi di permanenza, e per il 32% assisteremo a una contrazione della domanda dall’est Europa, da altri Paesi stranieri (22%) e dall’Italia stessa (18%). 

L’offerta si adegua ai nuovi bisogni dei viaggiatori

Gli operatori sono consapevoli di dover adeguare la loro offerta, e per adattare le proposte ai nuovi bisogni dei viaggiatori entro i prossimi 2-3 anni il 16% prevede aree fitness e relax all’interno delle strutture, il 25% postazioni per lo smart working e il 17% firmerà convenzioni con co-working esterni.  Qualcuno punterà sulla digitalizzazione: il 29% realizzerà app per il check-in e il check-out oppure per prenotare i servizi, mentre il 26% inserirà sistemi di domotica nelle camere. 
Il 34% realizzerà servizi su misura del cliente, il 24% inserirà nel menu prodotti biologici e il 27% offrirà tour alla scoperta della tradizione enogastronomica locale.

Record storico per il Made in Italy a tavola: nel 2022 +20%

Le esportazioni alimentari Made in Italy segnano un nuovo record, e con un balzo del 20% superano i 52 miliardi registrati nel 2021. Le esportazioni verso la Germania, il principale mercato di sbocco, nel primo trimestre dell’anno aumentano del 9’%, verso la Francia del 17%, e gli Stati Uniti mettono a segno un tasso di crescita del 21%. Ma un vero boom si è verificato nel Regno Unito (+29%), dove l’export tricolore si è rivelato più forte della Brexit. Al contrario, la Cina segna un calo del 18%, mentre la Russia indica un +4%, sul quale sono però destinate a pesare la guerra in Ucraina e le sanzioni. Nel solo mese di marzo le vendite di cibo italiano nel Paese di Putin sono crollate del 35%.
È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sui dati Istat sul commercio estero relativi al primo trimestre 2022. 

Il vino svetta sul podio con un +18% in sei mesi

Se a preoccupare sono gli effetti del conflitto in Ucraina, con i rincari energetici che stanno colpendo i consumi a livello globale, all’estero le vendite del Made in Italy sono sostenute soprattutto dai prodotti base della dieta mediterranea. Come il vino, che svetta sul podio con una crescita del 18% nei primi sei mesi, davanti a frutta e verdura fresca. Ma nel paniere del Made in Italy all’estero recitano un ruolo importante anche pasta, formaggi, olio d’oliva e salumi, nonostante a livello nazionale resti da colmare il pesante deficit produttivo in molti settori importanti, dalla carne ai cereali fino alle colture proteiche, necessarie per l’alimentazione degli animali negli allevamenti.

I più amati dagli Usa: spumanti, olio d’oliva e pasta

Il vino è anche il prodotto italiano più gettonato negli Usa dove, con un incremento del 13% registrato nel primo trimestre 2022, rappresenta quasi un terzo dell’intero valore dell’export agroalimentare, grazie al traino degli spumanti, che crescono addirittura del 18%. Aumenti a doppia cifra (+16%) anche per l’olio d’oliva, al secondo posto tra i prodotti Made in Italy più amati negli States, poco davanti alla pasta, che però mette a segno un balzo del 23%. Bene anche confetture, passate e succhi, in crescita del 21%, che precedono i formaggi, i quali però mettono a segno un risultato ancora migliore (+28%) nonostante siano penalizzati dalla larga diffusione sul mercato americano delle imitazioni.

Italia, regina bio di frutta e verdura

Alla base del successo del Made in Italy c’è un’agricoltura divenuta la più green d’Europa, con la leadership nel biologico di 80mila operatori, il maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg riconosciute (316), 526 vini Dop/Igp e 5.333 prodotti alimentari tradizionali, oltre a Campagna Amica, l’ampia rete dei mercati di vendita diretta degli agricoltori. Il Belpaese, spiega la Coldiretti, è il primo produttore Ue di riso, grano duro e vino, e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea, come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta, primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e le pere fresche alle ciliegie, le uve da tavola, i kiwi, le nocciole fino alle castagne.